Il confine con l’alterità – “Amor mi mosse, che mi fa parlare” (Dante Alighieri)

Il confine con l’alterità

L’idea della soglia (vedere Soglie: stati alterati di coscienza – “Sicurezza e terrore sono incompatibili” (Van der Kolk, 2015), che si schiuda creando passaggi o meno, implica la presenza di un qui e un là, o di un ora e un allora, di un io e un tu (o altro…), e di un confine tra essi. Il confine con l’alterità.

Questo vale anche e soprattutto per le relazioni umane: la presenza dell’altro, a patto che sia realmente tale, offre la possibilità di avere una controparte dialettica, che sappiamo essere essenziale per la costruzione della propria identità (pensiamo alla dinamica hegeliana di servo e padrone e al ruolo dell’immagine del nemico, anche immaginario, nella storia dell’umanità).

Amor mi mosse che mi fa parlare

Dall’altra parte però la relazione con l’altro si basa necessariamente su un movimento verso, una tensione di pensiero e di desiderio. Il confine con l’alterità va attraversato; Byung-Chul Han parla della dimensione erotica intrinsecamente connessa con la presenza dell’Altro (Han, 2017). Si basa anche su uno stare in ascolto, con paziente ospitalità, per creare uno spazio (una soglia) attraverso cui l’altro possa entrare. Mi viene in mente Persona, il meraviglioso e inquietante film di Ingmar Bergman, in cui il silenzio rivendica tutta la sua potenza di linguaggio, a dispetto del frastuono comunicativo dei nostri giorni.

il confine con l'alterità
una scenda del film

Questo ascolto e questo cammino verso si incarnano nella poesia e nell’arte in generale, che accetta e anzi si nutre dell’inquietudine generata dal mistero e dall’enigma.

Penso all’ottimo film-documentario D’amore si vive di Silvano Agosti. Attraverso la forma  dell’intervista (con lo sguardo e la voce di cui sopra) l’incontro con l’altro apre un’incredibile spazio di pensiero.

il confine con l'alterità
una scena del film

 

Il capitalismo delle emozioni

In questo, il film di Agosti, si oppone radicalmente all’uso del mezzo cinematografico a cui siamo ormai abituati, quello che si basa sul consumo di emozioni: i film ci fanno commuovere ma non ci fanno pensare, in perfetto accordo a quello che Byun-Chul Han chiama il “capitalismo delle emozioni” (Han, 2016), che offre un mercato illimitato, rispetto al consumo delle cose.

Nel nostro contesto culturale e socio-economico invece “segreto, estraneità o diversità rappresentano degli ostacoli per una comunicazione illimitata” (ibidem), presupposto fondamentale del sistema neoliberistico. L’utilizzo massivo degli ultimi ritrovati tecnologici, da internet ai social media -la quarta onda di innovazione, successiva alle tre descritte da Toffler (Gazzaley e Rosen, 2016)- ne è espressione: ha trasformato la comunicazione in un’azione immateriale e non diretta verso un interlocutore personale e concreto, annullando le distanze (e i confini) in assenza di una reale vicinanza, l’alone togheter descritto da Turkle (ibidem). Tutti i più recenti studi hanno mostrato gli effetti deleteri nell’uso massivo di dispositivi elettronici su performance, capacità cognitive, relazioni sociali, salute fisica e mentale (ibidem).

Il panottico digitale dell’ipercomunicazione

Il panottico digitale, a differenza di quello analogico decritto da Bentham, non ha limiti di prospettiva che implichino punti ciechi: tutto diventa trasparente, esposto alla visibilità, non c’è più uno spazio intimo e segreto in cui rifugiarsi.

Il non avere nessun posto in cui sentirsi al sicuro è un elemento caratteristico anche della grave trascuratezza infantile, che ha effetti traumatici al pari di abusi fisici e violenze sessuali. Van der Kolk si riferisce allo sguardo amorevole del caregiver, che fornisce aiuto al bisogno, come alla base di una buona relazione col proprio corpo e primaria strategia di regolazione emotiva, in assenza della quale se ne cercheranno altre sostitutive: abuso di farmaci, alcol e droga, condotte alimentari disfunzionali e autolesionismo (Van der Kolk, 2015). Possiamo dunque pensare alla attuale società occidentale come una società traumatizzante e traumatizzata? Ha senso parlare di psicoterapia se non si tiene conto di questi aspetti?

Chi rifiuta di conformarsi e si sottrae alla ipercomunicazione è, secondo Byung-Chul Han il moderno eretico, il folle, l’idiota: egli “non comunica, anzi, comunica per mezzo del non-comunicabile. Così, si chiude nel silenzio. L’idiotismo raggiunge liberi spazi del silenzio, della quiete e della solitudine, nei quali è possibile dire qualcosa che meriti davvero di esser detto” (Han, 2016).

Il confine con l’alterità nella Storia d’Europa

Ho trovato interessante, volendo allargare la visuale a questo proposito, l’intervento di Alberto Bagnai (durante la presentazione del libro “Quale Europa? Crisi economica e partecipazione democratica” a cura di Vittorio Lucchese, tenutasi a Roma il 26 giugno 2017 presso la Biblioteca della Camera dei Deputati):

“Il frazionamento politico è quello che ha garantito la grande fioritura culturale dell’Europa del Rinascimento, per un problema banale: che se tu avevi mai in mente che non fosse il Sole a girare intorno alla Terra, qui a Roma ti avrebbero subito messo alla Mole Adriana, all’umido. E magari invece girando per l’Italia trovavi il principe che, chissà per qualche motivo, ti sosteneva.

Ronald Faubelt sta facendo un bellissimo studio su come il frazionamento politico ha permesso agli intellettuali del Rinascimento di affermare i propri progetti di ricerca trovando spazi di libertà, scappando. Invece adesso deve essere tutto un mondo senza frontiere, che deve accogliere i rifugiati però (…) La frontiera un valore politico positivo ce l’ha: il valore del confine è che se la pensi in un modo diverso puoi attraversarlo!”

Un esempio viene citato da Davies a proposito delle teorie in campo fisico all’interno della comunità scientifica: durante la guerra fredda lo stesso concetto di collasso gravitazionale era bandito come assolutamente folle dai circoli occidentali, mentre veniva studiato nei libri di testo accademici in Unione Sovietica (Davies, 1996).

La resistenza della diversità di fronte all’Uguale

Attraversare i confini, siano essi mentali o geografici, è dunque una forma di resistenza della diversità di fronte all’Uguale. Se tutto è uniformemente uguale non esistono più confini, né soglie da attraversare; la diversità è essenziale alla stessa biologia della vita, ne è presupposto fondante e generativo.

Segue in Il tempo nel trauma – “Non è ora, allora?”

Il presente articolo è riproducibile, in parte o in toto, esclusivamente citando autore e fonte

(Silvia Noris – www.silvianoris.it)

 

BIBLIOGRAFIA

  • Davies, P. (1996). I misteri del tempo. L’universo dopo Einstein. Milano: Arnoldo Mondadori Editore
  • Gazzaley, A. e Rosen, L. D. (2016). The distracted mind. Ancient brains in a hi-tech world. Cambridge: MIT Press
  • Han, B. (2017). L’espulsione dell’Altro. Milano: Nottetempo
  • Han, B. (2016). Psicopolitica. Milano: Nottetempo
  • Van der Kolk, B. (2015). Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche. Milano: Raffaello Cortina Editore

FILMOGRAFIA

  • D’amore si vive (1984). Regia di Silvano Agosti
  • Persona (1966). Regia di Ingmar Bergman

Lascia un commento