Buchi neri: il trauma nella fisica di Einstein – “Guardate! Le fauci del buio lo stanno divorando” (William Shakespeare)

Buchi neri: il trauma nella fisica di Einstein

Mi ha incuriosito pensare ad alcune questioni psicologiche/spirituali nei termini della fisica di Einstein. Non perché io sia particolarmente competente a riguardo, anzi non lo sono affatto (e chiedo scusa a eventuali lettori esperti che ravvisassero strafalcioni); solo trovo divertente mescolare un po’ le carte. Continuando sul ragionamento precedente (vedere Il tempo nel trauma – “Non è ora, allora?”), cosa succede se l’evento/oggetto è estremamente denso?

Gli oggetti dell’universo, secondo la fisica da Einstein in poi, funzionano a grandi linee in questo modo: più la loro massa è compatta, più il loro campo gravitazionale è intenso; maggiore è la gravità esercitata sulla superficie di un oggetto, maggiore è la deformazione temporale (grazie agli effetti della gravitazione sullo spazio e sul tempo).

Il tempo rallenta, gli eventi si congelano

Se un oggetto sufficientemente grande finisce il proprio carburante, si restringe sotto il proprio peso diventando più compatto, e collassa sul suo stesso centro gravitazionale, implodendo. Per gli oggetti con una massa sufficientemente grande (circa tre volte quella solare) viene postulata l’esistenza di un raggio critico, chiamato raggio di Schwarzschild, in corrispondenza del quale il tempo risulta infinitamente dilatato (secondo il sistema di riferimento di un osservatore distante) fino al “congelamento” degli eventi; il rallentamento del tempo influisce anche sulle onde luminose (e sulle onde radio), che subiscono un progressivo arrossamento e affievolimento, chiamato red shift gravitazionale, fino alla scomparsa completa della luce in corrispondenza del raggio stesso.

All’interno dei buchi neri il tempo cessa di esistere

I buchi neri sono perciò oggetti dell’universo che esercitano una forza di gravità talmente forte da risucchiare tutto ciò che si avvicina e trattenere anche la luce diretta verso l’esterno, facendoli apparire neri. L’interno del buco nero è una regione in cui lo spazio e il tempo non possono essere osservati dall’esterno, il raggio critico è perciò chiamato orizzonte degli eventi. Il centro del buco nero, dove il campo gravitazionale è infinito (singolarità spazio-temporale) segna la linea di confine, dove il tempo cessa di esistere (Davies, 1996).

Quello che ho trovato interessante, riguardo alla distorsione temporale in prossimità dei buchi neri, è che:

“l’illusione della distorsione è dovuta solamente al sistema di coordinate (latitudine e longitudine) adottato. (…) E’ possibile eliminare la singolarità matematica corrispondente al raggio di Schwarzschild semplicemente passando in un altro sistema di coordinate. (…) In effetti, non noteremmo niente di strano riguardo al tempo -o a qualunque altro aspetto della fisica locale- nelle nostre immediate vicinanze. E’ solo confrontando il nostro tempo con un altro tempo che potremmo scoprire la deformazione temporale” (Davies, 1996).

Perfetto, se lo spostiamo in un ottica etnopsichiatrica di decentramento.

Rimanendo nella stessa ottica, il fatto che sia impossibile guardare dentro un buco nero, ma non il contrario, mi ha fatto pensare a quanto detto da Lelia Pisani durante una lezione presso il Centro Studi Sagara e in seguito alla visione del documentario sul culto di possessione Holle Hoore; sosteneva infatti come lo stato di coscienza alterato dovesse essere considerato un più, una sorta di visione aumentata rispetto alla realtà circostante, e non un meno.

La singolarità spazio-temporale come la disumanizzazione nella tortura

L’immagine del buco nero mi fa anche pensare a quello che viene descritto da Françoise Sironi in Carnefici e vittime: il concetto di singolarità metaforicamente equivale al processo di disumanizzazione e riduzione all’universale a cui sono sottoposte le vittime di tortura. Così anche l’incomunicabilità delle esperienze: non si può vedere ciò che sta dentro a un buco nero. In quest’ottica il freezing, la siderazione delle vittime, equivale al congelamento degli eventi in corrispondenza del raggio critico.

Alle soglie del tempo

Ma ritorniamo alle soglie, da cui sono partita (vedere Soglie: stati non ordinari di coscienza“Sicurezza e terrore sono incompatibili” (Van der Kolk, 2015): la superficie di un buco nero è un passaggio verso una regione misteriosa e remota dello spazio-tempo. Una volta dentro, si potrebbe accedere a regioni dello spazio-tempo differenti, che si trovano “oltre” e che hanno una differente direzionalità del tempo. Secondo la scienza non c’è nulla di intrinseco nella teoria della relatività, nelle leggi della fisica e nella logica che impedisca a una particella di materia, o in linea di principio a un essere umano, di raggiungere il passato, tornando poi nel futuro.

“La presenza di un campo gravitazionale provoca una curvatura dello spazio-tempo, che può essere sufficientemente grande ed estesa da far ricongiungere lo spazio-tempo su sé stesso in modi originali” (Davies, 1996), creando i cosiddetti anelli temporali. Secondo Wheeler esistono dei cunicoli, percorsi alternativi che collegano due punti nello spazio-tempo, in questo modo:

buchi neri: il trauma nella fisica di Einstein

Immagine tratta dal sito di Nexus Edizioni

Wheeler ha postulato che il ritorno al punto di partenza sia possibile e avvenga sul percorso lungo; cos’è questo, se non l’attraversamento di una soglia, andata e ritorno?

Le torture come buchi neri

Leggendo il libro di Sironi ho pensato in diverse occasioni che la tortura è come una psicoterapia (che equivale ad un rito iniziatico), lasciata a metà. E’ come trovarsi al centro di un buco nero, dove la realtà per come la conosciamo cessa di esistere, e rimanerci intrappolati senza poter fare il “passaggio”.

Ma cosa c’è “oltre”? La cosmogonia quantistica di Hawking presuppone che “tutte le realtà quantistiche contrastanti godano di una pari condizione. Non sono semplici mondi fantasma, o realtà potenziali, ma veramente reali, tutte quante. Ogni realtà corrisponde ad un intero universo, dotato di spazio e di tempo. Tutti questi universi non sono connessi attraverso lo spazio e il tempo, ma sono in qualche modo paralleli, esistono uno a fianco dell’altro” (Davies, 1996). Non solo i mondi sono divisi, ma lo sono anche i relativi osservatori; ogni osservatore percepisce il suo mondo, in maniera coerente con l’esperienza. “I problemi sorgono, tuttavia, se questi” gli universi prima separati “iniziano a sovrapporsi o a interferire l’uno con l’altro” (ibidem).

Un etnopsicoterapeuta avrà il suo bel da fare.

C’è una malinconia e c’è uno scintillio. Mi porta

indietro nel tempo a una dimensione sferica.

Quando gli uomini avevano ancora

qualcosa in comune con gli déi.

E quando la verità stava

in fondo alle rughe di un vecchio.

Il presente articolo è riproducibile, in parte o in toto, esclusivamente citando autore e fonte

(Silvia Noris – www.silvianoris.it)

 

BIBLIOGRAFIA 

  • Benini, A. (2017). Neurobiologia del tempo. Milano: Raffaello Cortina Editore
  • Davies, P. (1996). I misteri del tempo. L’universo dopo Einstein. Milano: Arnoldo Mondadori Editore
  • Han, B. (2017). Il profumo del tempo. Milano: Vita e Pensiero
  • Sironi, F. (2001). Carnefici e vittime. Milano: Feltrinelli
  • Van der Kolk, B. (2015). Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche. Milano: Raffaello Cortina Editore

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