Salute mentale territoriale: quali vantaggi dell’etnopsichiatria rispetto alla psichiatria?

Quali sono i vantaggi dell’etnopsichiatria nella salute mentale territoriale?

Di seguito alcune miei riflessioni su quali siano i vantaggi dell’etnopsichiatria rispetto alla psichiatria, nell’ambito della salute mentale territoriale. 

Servizio territoriale di salute mentale

Parto dal titolo dato all’argomento: salute mentale territoriale; queste tre parole possono essere, a mio avviso, lette in due versioni di significato. Il primo modo di intenderle è “servizio territoriale di salute mentale”, nel senso di servizio pubblico che ha competenza nel settore della salute mentale (CSM o SPDC) in riferimento ad uno specifico territorio, in cui ha sede operativa il servizio stesso e in cui generalmente l’utenza deve essere residente per potervi accedere.

In quest’ottica la domanda, presupponendo una variabilità della popolazione, può essere su come il servizio pubblico, col suo standard formale di omogeneità nazionale (i cosiddetti LEA, i livelli essenziali di assistenza), possa anche essere adattato ai bisogni della sua popolazione. Come può il servizio pubblico, di base genericamente impostato, adattarsi ai suoi utenti?

Salute mentale del territorio

Il secondo modo di intendere queste tre parole è “(il grado di) salute mentale del (di un) territorio”. Questa lettura alternativa implica in sé che il concetto di salute sia, nella sua definizione, legato a quello di contesto ambientale. Non solo e non tanto nel senso di salute mentale in un territorio (ad es. incidenza psicopatologica in un quartiere degradato o della schizofrenia in Africa), ma proprio nel senso di salute mentale di un territorio.

La salute non è dell’individuo, ma del territorio, non individuale ma territoriale, sottintendendo una definizione di territorio che lo identifica come risultato della territorializzazione, cioè dell’intervento umano: territorio è l’interazione tra l’essere umano e l’ambiente su cui egli rivendica un’autorità. Ed è in questa interazione che possiamo localizzazione la salute. Quindi, non è solo il servizio che si adatta all’utenza, ma è anche l’utenza che si adatta al servizio, in un modellamento reciproco e in continua trasformazione.

Secondo la logica della medicina occidentale, che identifica il contrario della salute nella malattia, possiamo supporre di poter utilizzare il medesimo aggettivo -territoriale- per caratterizzarla? Malattia mentale territoriale. Nel caso di questa definizione, il significato mi pare sia univocamente quello di “malattia mentale in/di uno specifico territorio”, dove il territorio non è assimilabile a qualcosa di naturalmente oggettivo e neutro dato una volta per tutte, ma piuttosto ad un organismo vivente, che interagisce con gli altri organismi viventi e si trasforma. Si racconta che anche Pasteur, padre della teoria dei germi, secondo la quale la malattia è causata da microrganismi patogeni, in punto di morte abbia affermato: “Il terreno è tutto, il microbo è nulla!”

Quali i vantaggi dell’etnopsichiatria rispetto alla psichiatria?

Tornando alla domanda iniziale, su quali siano i vantaggi dell’etnopsichiatria rispetto alla psichiatria, possiamo forse affermare che l’etnopsichiatria è una salute mentale territoriale consapevole di esserlo, consapevole cioè di essere una salute mentale tra le tante possibili, e che lo è intenzionalmente e non come conseguenza fortuita di scelte metodologiche derivanti da altre logiche (ad es. economiche) o ingenuamente improvvisate.

La psichiatria si vuole universale nel respiro e individuale nel raggio d’azione; l’etnopsichiatria si vuole pluri-locale e collettiva, intendendo salute/malattia come un processo di socializzazione. Curioso che il termine salute non preveda il plurale, almeno in italiano, come se ci fosse un solo modo di essere sani (Consigliere, lezione c/o Centro Studi Sagara).

In etnopsichiatria

In etnopsichiatria

“durante l’intervento clinico viene indagata la natura peculiare del paziente, contrastando i modelli nosologici che scansionano queste creature in categorie epidemiologiche costruite su base statistica. Quest’ultima operazione compie la saldatura del sintomo sulla persona che viene così separata dai propri simili e trasformata in oggetto subalterno alla sovranità di esperti, deposto al di fuori del suo collettivo sociale” (Inglese e Cardamone, 2017).

Un siffatto intervento è caratterizzato da un pluralismo teorico, da vari ambiti di applicazione e da una prospettiva inclusiva (ibid.).

Pensando ai concetti di inclusione ed esclusione mi torna in mente la mia prima reazione di fronte all’immagine dall’alto della fortezza di Palmanova (qui sotto a destra), sede del Centro di Salute Mentale – 24 ore che vede come direttore il dott. Bertoli e come psichiatra in servizio la dott.ssa Valentinis, studentessa della scuola. Il mio pensiero fu che mi ricordava vagamente la pianta del carcere di San Vittore a Milano (qui sotto a sinistra) e il Panopticon di Bentham.

i vantaggi dell'etnopsichiatria nella salute mentale territoriale

i vantaggi dell'etnopsichiatria nella salute mentale territorialeOsservando queste immagini mi viene da chiedermi se, quando si predispone una zona delimitata e separata -un claustrum- l’intento sia quello di chiudere dentro (in claustro, includere) o quello di chiudere fuori (ex claustro, escludere). Mi chiedo anche quale sia il soggetto/oggetto dell’azione di chiudere: ci si chiude dentro (chiudendo fuori qualcun altro, come a Palmanova) o si chiude dentro qualcuno (restando noi fuori, come a San Vittore o in un manicomio qualsiasi)? Possiamo dire che, se la prospettiva dell’etnopsichiatria è inclusiva, quella della psichiatria è esclusiva?

La funzione sociale della psichiatria

Citando il lavoro di passaggio d’anno di Alessandra Valentinis, che nel presentare un suo programma di intervento a favore di stranieri sottolinea come “senza dubbio andrebbe implementato e migliorato ciò che costituisce l’oggetto di progetti ed obiettivi specifici in linea con le indicazioni dell’oms nello shift dalla psichiatria alla salute mentale” (Valentinis, 2017), mi chiedo in cosa consista esattamente questo shift dalla psichiatria alla salute mentale.

Soprattutto mi chiedo se e come si trasformi la funzione sociale della psichiatria durante e dopo questo passaggio, in particolare quella nominata da Ferraro nel suo discorso riguardo alle nuove forme di lavoro che, investendo in soggettività e facendo coincidere libertà e rischio, diventano un dispositivo di controllo sociale e di produzione patologica. “Il processo di costruzione di questa marginalità segue le stesse logiche di produzione sociale della follia e approda alla medesima soluzione: la psichiatria, cioè la tecnica di ridefinizione dell’identità degli indesiderati” (Ferraro in Simone, 2014), come delegittimazione delle forme di rivendicazione sociale. Qual è dunque la funzione sociale della salute mentale, intesa come insieme teorico e tecnico, se è vero che “il quadro operatorio genera una determinata costruzione di senso oltre che un dato alone interpretativo e pragmatico intorno alla situazione in questione” (Inglese e Cardamone, 2017)? E quale quella dell’etnopsichiatria?

Il presente articolo è riproducibile, in parte o in toto, esclusivamente citando autore e fonte

(Silvia Noris – www.silvianoris.it)

 

BIBLIOGRAFIA

  • Inglese, S. e Cardamone, G. (2017). Déjà vu 2. Laboratori di etnopsichiatria critica. Paderno Dugnano (MI): Edizioni Colibrì
  • Simone, A. a cura di (2014). Suicidi. Studio sulla condizione umana nella crisi. Milano-Udine: Mimesis Edizioni
  • Valentinis, A. (2017). Programma d’intervento in salute mentale a favore di stranieri presenti sul territorio. Elaborato di passaggio d’anno presso Centro Studi Sagara

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