Etnopsichiatria in una società multiculturale
Nel testo in oggetto, che esplora il possibile ruolo dell’etnopsichiatria in una società multiculturale, si sottolinea come l’incontro col migrante, in quanto rappresentante di un’alterità radicale, possa stimolare la critica teorica e il rinnovamento metodologico nel campo della salute mentale e, allo stesso tempo, sollecitare l’alleanza tra discipline diverse.

Citando il lavoro di passaggio d’anno di Alessandra Valentinis, psichiatra del servizio pubblico e studentessa della scuola di specializzazione del Centro Studi Sagara, che nel presentare un suo programma di intervento a favore di stranieri sottolinea come “senza dubbio andrebbe implementato e migliorato ciò che costituisce l’oggetto di progetti ed obiettivi specifici in linea con le indicazioni dell’OMS nello shift dalla psichiatria alla salute mentale” (Valentinis, 2017), mi chiedo però in cosa consista esattamente questo shift dalla psichiatria alla salute mentale.
Funzione sociale della psichiatria
Soprattutto mi chiedo se e come si trasformi la funzione sociale della psichiatria durante e dopo questo passaggio, in particolare quella nominata da Ferraro nel suo discorso riguardo alle nuove forme di lavoro che, investendo in soggettività e facendo coincidere libertà e rischio, diventano un dispositivo di controllo sociale e di produzione patologica.
“Il processo di costruzione di questa marginalità segue le stesse logiche di produzione sociale della follia e approda alla medesima soluzione: la psichiatria, cioè la tecnica di ridefinizione dell’identità degli indesiderati” (Ferraro in Simone, 2014)
come delegittimazione delle forme di rivendicazione sociale. Qual è dunque la funzione sociale della salute mentale, intesa come insieme teorico e tecnico, se è vero che “il quadro operatorio genera una determinata costruzione di senso oltre che un dato alone interpretativo e pragmatico intorno alla situazione in questione” (Inglese e Cardamone, 2017)?
L’idea di salute come attaccamento culturale
Scrivo salute mentale e penso igiene mentale, e ricordo quanto già scritto tempo fa (vedere “Noi siamo un dialogo” – un commento) a proposito di un altro testo (Stanghellini, 2017). Mi sembra che l’idea occidentale di salute e di malattia possa ben donde essere considerata un attaccamento culturale, parte cioè di quella visione del mondo e della conseguente intenzionalità, che appartiene al clinico e che lo muove. “La clinica stessa viene decentrata e può discutere sui presupposti che l’hanno storicamente edificata come tale” (Inglese e Cardamone, 2017). Posizionarsi rispetto a questo attaccamento permette allora di riconoscerne gli impliciti, come la predisposizione del clinico a non farsi contaminare dall’altro e dalle sue teorie, e permettere “all’angoscia epistemologica che infiltra le scienze del comportamento” (ibid.) di fare il suo corso.
Il concetto di metissage ha senso in Italia?
Leggendo dell’importanza di lasciare emergere “teorie nosologiche indipendenti e divergenti” (ibid.) perché confliggano positivamente in un’ottica trasformativa, non ho potuto non pensare al concetto di metissage di Moro (Moro et al. 2009) in riferimento alla posizione delle seconde generazioni, quelle dei figli di genitori migranti.
Se pure la definizione che ne viene data è quella molto calzante di individui dalle appartenenze multiple, a cavallo tra il qui e l’altrove, la parola stessa meticcio apre l’area semantica, a mio avviso poco desiderabile, della violenza e dell’oppressione, che mi ricorda da vicino un’acculturazione rapida e brutale:
“metìccio (ant. mestìccio, mestizzo o mestizo) s. m. (f. –a) e agg. [lat. tardo mixtīcius, der. di mixtus, part. pass. di miscēre «mescolare» (propr. «misto di colore bianco e nero»), influenzato successivamente dal fr. métis; le varianti ant. mestizo o mestizzo sono dallo spagn. mestizo, che ha lo stesso etimo] (pl. f. –ce). –1. In antropologia fisica, in senso stretto, individuo nato da un genitore di razza bianca e da uno di razza diversa (africana, amerindia, cinese, ecc.): i m. dell’America Settentrionale, del Sud Africa. 2. In zootecnia, ibrido tra individui di razza diversa. 3. Raro in senso estens. e fig., come sinon. generico di bastardo” (http://www.treccani.it/vocabolario/meticcio/).
Ipotizzo perciò che il concetto di metissage, frutto del contesto francese e della sua égalité calata dall’alto, possa non essere adatto al contesto culturale dell’Italia, terra di briganti, e al suo processo di unificazione mai terminato.
L’Etnopsichiatria presuppone le appartenenze
Quale ruolo dunque per l’Etnopsichiatria in una società multiculturale?
“Allo stato, consideriamo l’etnopsichiatria un sistema di intervento sul reticolo delle appartenenze (affiliazioni) dell’individuo ai gruppi sociali che ne generano le proprietà singolari e modali; un sistema intelligente, sensibile, mobile, dotato di un’intenzionalità che mira all’intreccio coerente di teorie e pratiche di cura e trasformazione della persona (sia quelle utilizzate dal professionista che dal paziente). Secondo questa concezione la persona può essere pensata soltanto in funzione delle appartenenze multiple ad organismi collettivi vitali che la sostanziano nella sua stessa identità e dimensione esistenziale; pertanto, l’individuo è affiliato, aggregato, inscritto in un gruppo connotato da matrici differenziali specifiche (linguistiche, culturali, psicologiche)” (Inglese e Cardamone, 2017).
Esiste un modello italiano?
Se è vero che le visioni del mondo si spostano insieme agli individui, esiste in questa definizione una specificità tutta italiana, che si differenzia dal modello tecnico e teorico francese?
Che tipo di alleanze e legami sociali vengono posti in essere dal dispositivo etnopsichiatrico? E, per tornare alla domanda iniziale, qual è la sua funzione sociale?
Il presente articolo è riproducibile, in parte o in toto, esclusivamente citando autore e fonte
(Silvia Noris – www.silvianoris.it)
BIBLIOGRAFIA
- Inglese, S. e Cardamone, G. (2017). Déjà vu 2. Laboratori di etnopsichiatria critica. Paderno Dugnano (MI): Edizioni Colibrì
- Moro, M.R. Et al. (2009). Manuale di posichiatria transculturale. Dalla clinica alla società. Milano: FrancoAngeli s.r.l.
- Simone, A. a cura di (2014). Suicidi. Studio sulla condizione umana nella crisi. Milano-Udine: Mimesis Edizioni
- Stanghellini, G. (2017). Noi siamo un dialogo. Antropologia, psicopatologia, cura. Milano: Raffaello Cortina Editore
- Valentinis, A. (2017). Programma d’intervento in salute mentale a favore di stranieri presenti sul territorio