Psicopatologia transculturale dei disturbi dell’umore
Ho letto il testo in oggetto, che affronta il tema della psicopatologia transculturale dei disturbi dell’umore, con attenzione e sono due i punti che ho trovato maggiormente interessanti. Il primo riguarda il paragrafo 2 e la comparazione effettuata da Murphy tra Inghilterra e Ghana nel passaggio verso la depressione con vissuti di colpa in concomitanza di particolari trasformazioni sociali, economiche e religiose. A questo proposito segnalo un articolo di Sam Haselby, pubblicato su Aeon il 14 gennaio 2019 (consultabile qui: https://aeon.co/ideas/economics-helps-explain-why-suicide-is-more-common-among-protestants?utm_source=Aeon+Newsletter), nel quale si affronta la questione del ruolo del protestantesimo nella genesi degli agiti suicidari.

Lo studio, effettuato su dati riguardanti la Prussia della seconda metà del 1800, rileva come il tasso dei suicidi tra i protestanti sia stato tre volte superiore rispetto a quello tra i cattolici, confermando la tesi di Durkheim. Da un punto di vista teorico, le spiegazioni dei risultati possono essere -secondo l’autore- due; la prima, di ordine sociologico, è che la struttura di gruppo delle comunità protestanti e cattoliche sia sostanzialmente differente: l’individualismo più spinto del protestantesimo impedisce al singolo in difficoltà di beneficiare dell’appoggio e del sostegno sociale.
La seconda, di ordine teologico, è che la dottrina protestante considera la salvezza raggiungibile unicamente per grazia di Dio e non attraverso le azioni umane. Diversamente, per i cattolici il giudizio divino è influenzato dalle proprie azioni e tra queste il suicidio è considerato un peccato, che oltretutto non è possibile confessare. L’analisi dei dati raccolti nello studio fa propendere l’autore per la prima spiegazione, quella di tipo sociologico.
Suicidi economici negli imprenditori del Nord-Est
Sempre su questo argomento, mi sembra interessante il fenomeno -divenuto rilevante negli ultimi dieci anni circa- dei suicidi economici dei piccoli imprenditori del Nord-Est italiano; anche in questo caso, come per l’Inghilterra e il Ghana di Murphy, ci si trova di fronte ai rapidi e drastici cambiamenti su diversi livelli sottolineati nel testo.
Cambiamenti religiosi: se pure non sia presente una vera e propria modificazione dottrinale, si è assistito ad una disintegrazione -sotto la spinta dell’«etica» neoliberista- della rete territoriale caratteristica e del “tessuto sociale storicamente attraversato da mutualismo, volontariato, associazionismo diffuso e partecipato, che deriva dalla cultura tipicamente cattolica e dalle associazioni di mutuo soccorso dei primi del novecento” (L’impresa del suicidio. Ascesa e crisi del modello di sviluppo “Nord-Est” di Peroni, C. in Simone, 2014).
Cambiamenti economici: il modello di sviluppo del Nord-Est segna una rottura col paradigma economico del dopoguerra fordista ed è, al contrario di quest’ultimo, caratterizzato da una produzione specializzata e flessibile, basata sull’innovazione, e su una piccola imprenditorialità diffusa che tende a coincidere con la rete familiare e amicale. Il destino dell’attività viene a coincidere col destino dell’individuo. Per quanto riguarda i cambiamenti pedagogici, niente di specifico a livello territoriale, ma quello a cui stiamo assistendo su scala -quantomeno- nazionale mi sembra più che sufficiente.
Depressione in Oriente
Cosa dice la psicopatologia transculturale dei disturbi dell’umore in altri contesti?Penso che sarebbe interessante esaminare i dati epidemiologici relativi a depressione con vissuti di colpa e suicidio in territori, come quelli orientali, in cui tradizionalmente la comunità ha un peso maggiore nella vita degli individui rispetto al modello occidentale e in cui la vergogna risulta il sentimento -nella relazione con la società- predominante rispetto alla colpa. A questo proposito ho trovato utili a una riflessione in questa direzione alcuni dati sulla Cina: dopo aver ormai sposato il modello economico neoliberista, diventando addirittura più occidentale dell’Occidente, il governo cinese si sta interessando attivamente allo studio del “cristianesimo come pratica religiosa, che favorirebbe lo sviluppo sociale ed economico” (Stimilli, 2015) e del ruolo che il senso di colpa, tipico del cristianesimo, assume nel contesto della produzione, del lavoro e del controllo sociale.
Dalla colpa alla vergogna
Su questo punto mi riallaccio al secondo aspetto -dal mio punto di vista- interessante: al paragrafo 3 si affronta la tematica della modificazione dei disturbi mentali in accordo con i mutamenti storici e sociali. In particolare, si sottolinea il passaggio dalla colpa alla vergogna nei vissuti depressivi dei disturbi narcisistici, che muovono verso quella che viene definita “un’incurabile malattia identitaria cronica”.
Le righe in questione mi lasciano perplessa; in questo senso, trovo molto significativo il fatto che venga citato un testo -Ehrenberg, 1999- di vent’anni fa; ritengo infatti che negli ultimi vent’anni, e ancor di più negli ultimi dieci, si sia assistito -forse senza la dovuta capacità di aggiornamento teorico e concettuale da parte delle scienze sociali- ad un quanto mai rapido mutamento sociale e antropologico. Pensiamo all’ingresso fin nelle zone più intime della vita quotidiana (non solo individuale, ma anche sociale, politica ed economica) dei nuovi dispositivi elettronici e dei social media, come strumento di governo in chiave neoliberista; pensiamo all’espansione, capillare e globale allo stesso tempo, dell’economia del debito come paradigma sociale e relazionale.
Un inedito post-moderno
Tutto questo ha prodotto, insieme ad altri aspetti della post-modernità, un reimpasto inedito tra colpa, vergogna e -aggiungo io- terrore e un diverso utilizzo di questi sentimenti umani da parte dei meccanismi di potere.
Sono convinta che l’analisi di ciò che riguarda la salute (mentale?) del qui e ora richieda estrema cautela, pena divenire parte della situazione problematica che si vuole comprendere. L’argomento è quanto mai interessante e rientra nei miei obiettivi di studio dei prossimi anni.
Il presente articolo è riproducibile, in parte o in toto, esclusivamente citando autore e fonte
(Silvia Noris – www.silvianoris.it)
BIBLIOGRAFIA
- Inglese, S. e Cardamone, G. (2011). Déjà vu. Tracce di etnopsichiatria critica. Paderno Dugnano (MI): Edizioni Colibrì
- Simone, A. a cura di (2014). Suicidi. Studio sulla condizione umana nella crisi. Milano-Udine: Mimesis Edizioni
- Stimilli, E. (2015). Debito e colpa. Roma: Ediesse