INDEBITO INTRATTENIMENTe – colpevoli nel debito, innocenti nel consumo (parte 2: economia e psicologia del debito)

3 “Dietro ogni libertà sospirata c’è in agguato una belva” (Alda Merini)

“Indagare la relazione creditore/debitore serve a comprendere meglio come mai una relazione diseguale basata sul potere e la proprietà venga vissuta e accettata da coloro che la subiscono come una relazione fra pari basata sulla lealtà. Perché è su questo nodo che si fonda la presunta «legittimità» del debito e l’indiscutibilità del dovere di ripagarlo” (Bersani, 2017).

Teoria del baratto

Secondo Aristotele, ripreso poi da Adam Smith (padre della teoria economica classica), gli uomini producono “naturalmente” più di quello di cui hanno bisogno; questa sovrapproduzione di beni, insieme alla divisione del lavoro, dà origine allo scambio. Questa è la teoria della priorità storica e teorica del baratto, che riconosce nel mercato il luogo privilegiato per lo scambio, naturalizzandolo. Per gli economisti neoclassici, il mercato è un’istituzione che determina autonomamente le regole del suo funzionamento e armonizza l’interesse privato con la prosperità generale.

Teoria del dono

Dagli studi sulle cosiddette società “primitive” prende invece vita la teoria del dono (Mauss, Malinowsky), secondo la quale il dono, non potendo essere sottratto né scambiato, segue una logica economica differente e persegue fini sociali (legami e coesione) e non strettamente economici (interesse e profitto). Secondo questa teoria il mercato è un fenomeno storico piuttosto recente.

Moneta come debito

Sulla scia di Mauss, Graeber ritiene il debito più simile al dono che non allo scambio, poiché è un vincolo che obbliga nel tempo, e lo ritiene storicamente antecedente ad esso. Dal rapporto debitore/creditore ha origine la moneta come credito dovuto (quindi antecedente al denaro come mezzo di scambio), una sorta di impegno a pagare, un “pagherò”; la moneta è cioè una forma socializzata di debito. Secondo i teorici del debito primordiale (Aglietta, Orlèan, Hudson) il senso più antico del debito era riconducibile alla religione e al debito di vita.

Come per Nietzsche, anche secondo Deleuze “lo scambio non è mai primo. In effetti, proprio come nessuna economia funziona a partire dallo scambio economico, nessuna società funziona a partire dallo scambio simbolico. Sia l’economia che la società sono organizzate partendo da differenziali di potere, da uno squilibrio di potenzialità” (Lazzarato, 2012).

economia del debito e psicologia del debito
Foto di Pavlofox da Pixabay

Economia del debito: funzioni

Lazzarato sostiene che “ci mancano gli strumenti teorici per analizzare tutta la portata del rapporto di potere tra creditore e debitore e le diverse funzioni che il debito ricopre. Il concetto di speculazione corrisponde solo a una parte del funzionamento del debito e impedisce di vederne le funzioni produttive, distributive, di cattura e di modellamento della soggettività” (ibidem). Il debito è allo stesso tempo strumento normativo, di gestione macro-economica, di produzione e di governo della soggettività. Vediamo alcuni di questi risvolti dell’economia del debito non strettamente economici. Per ragioni spazio-temporali, mi è impossibile trattarli in maniera più approfondita; ne ho scelti quattro, secondo il mio personale interesse, che esaminerò nei paragrafi 4, 5, 6 e 7.

Il rapporto con lo Stato

L’istituzione dello Stato nazionale moderno, databile nel 1648 con la pace di Westfalia, è caratterizzata da assolutismo giuridico (vale unicamente il principio di territorialità), che genera sovranità politica, monopolio della produzione del diritto e uso legittimato della violenza. Dopo la globalizzazione, con le sue cessioni di sovranità e con l’ingresso delle multinazionali come nuovi soggetti che producono diritto e potere politico, l’ordine giuridico assomiglia di più al modello medioevale, secondo cui sullo stesso territorio vigevano più fonti del diritto (ad es. Chiesa, Comuni, Università, corporazioni), che a quello imperiale della forma Stato (Mattei, 2011).

Con la fusione di Stato e mercato, si è venuta a creare un’istituzione che è solo amministrativa (non solo economica e non solo giuridica) e non più politica. Lo Stato nazionale si è trasformato in Stato manageriale, aziendale, è “«un’impresa al servizio di altre imprese» […] quello che Naomi Klein ha definito «the corporate state»” (Stimilli, 2015).

Il rapporto con il divino 

Come sostengono Weber e Benjamin (citati in Stimilli, 2015), l’economia capitalistica sembra una questione tecnica e matematica, ma ha una strutturazione e segue dinamiche di tipo religioso, se pure particolari: viene definita un culto senza teologia, una prassi senza teoria. In particolare, secondo Foucault (citato in Stimilli, 2015), il potere pastorale cristiano (a partire dalla fondazione dell’Ekklesia, che trasforma la fede in Chiesa) è il prototipo dell’istituzione economico-amministrativa e di quel potere economico da lui definito governamentale; caratteristico del neoliberismo, consiste nella coincidenza tra vita e legge e ha come requisito essenziale la libertà, che trasforma un debito (di vita, per la vita) in un investimento da amministrare.

La peculiarità del cristianesimo è, come vedremo meglio nel paragrafo 5, quella di trasformare un’obbligazione materiale in una morale; se un rapporto di insolvenza tra un uomo e un altro uomo si riduce alla sofferenza fisica del qui e ora, lo stesso rapporto tra un uomo e Dio introduce un intimo legame con l’infinito. Stimilli cita uno studio di Wielander, che rileva come in Cina il cristianesimo sia funzionale allo sviluppo economico e alla produzione, perché la colpa è un dispositivo da cui trarre profitto: “il direttore di una fabbrica di Wenzhou, nel 2010, avrebbe persino dichiarato alla Bbc che preferisce assumere lavoratori cristiani, perché questi «quando sbagliano si sentono in colpa» (cfr. «Internazionale», n. 940, 2012)” (Stimilli, 2015). 

Lo stesso lessico usato nell’ambito del debito richiama spesso tematiche religiose: la salvezza (delle banche), i sacrifici (dei cittadini). I “mercati” assomigliano un po’ agli dèi dell’Olimpo, “possono dare e togliere fiducia, divenire euforici o collerici, entrare in fibrillazione o turbarsi. E alle popolazioni non resta altro che fare continui sacrifici in loro onore, sperando di ingraziarli per suscitare la loro benevolenza o per mitigarne la collera” (Bersani, 2017).

Il rapporto con l’individuo

L’essere in debito è anche una condizione da emendare; addirittura, in tedesco il termine Schuld/Schulden ha il doppio significato di debito e di colpa (che è un concetto giuridico e psichico contemporaneamente). Non ci può stupire dunque la visione colpevolizzante del soggetto indebitato, che sia esso un individuo o uno Stato. Ma come si diventa “soggetti”? Secondo Guattari l’economia è indissociabile dall’etica, dalla produzione della moralità, e oggi è in atto una vera e propria crisi della produzione di soggettività; il modello fordista è ormai finito ma ancora non si sa con cosa sostituirlo. Non ci sono strumenti teorici né armi per combattere un nemico ancora sconosciuto.

La “crisi finanziaria apre una nuova fase politica, nella quale il capitale non può più contare sulla promessa di una futura ricchezza per tutti come negli anni Ottanta. Non può più disporre degli specchietti per le allodole della «libertà» e dell’«indipendenza» del capitale umano, né di quelli della società dell’informazione o del capitalismo cognitivo” (Lazzarato, 2012).

Niente più narrazioni epiche, tutto quel che rimane è la figura soggettiva dell’uomo indebitato, una condizione esistenziale fondata sulla solitudine competitiva e sull’ineluttabilità del futuro, in cui ci si assume costi e rischi esclusivamente su di sé. Il soggetto è al tempo condizione e strumento, perché “il debito è una forma di estrazione del valore – attraverso il pagamento degli interessi – e una forma di dominio sul presente e sul futuro degli assoggettati” (Bersani, 2017).

Il nocciolo del neoliberismo, infatti, è proprio quello di mettere a valore l’intera esistenza umana; si tratta a tutti gli effetti di una ideologia totalitaria, una visione compiuta del mondo che esige il disciplinamento della società, che deve essere ad essa conforme. Foucault è convinto che

“quella economica sia una razionalità governamentale, una razionalità, cioè, che mira a dirigere dall’interno le vite individuali attraverso l’istituzione di norme non repressive, né violente, ma incentrate piuttosto sui desideri, le passioni, le stesse modalità di valutazione e di scelta degli esseri umani. […] E’ attraverso l’istituzione del mercato che l’economia diviene una forma di governo politico. […] I modi attraverso cui il potere economico assoggetta sono, cioè, intrinsecamente connessi alle stesse modalità con cui i soggetti si costituiscono dando forma e valore alla vita” (Stimilli, 2015).

Il capitale umano

Come oikonomia, come ordine immanente su ogni aspetto della vita, la logica imprenditoriale entra anche in ambiti non produttivi: vale per l’imprenditore, ma anche per il lavoratore, e persino per il consumatore. Di tutte le categorie viene valorizzato il capitale umano, che deve essere continuamente aumentato e perfezionato; il lavoro è un lavoro su di sé. Ma se il lavoro su di sé è anche la cura di sé, che ruolo hanno in questo processo le professioni di cura in generale e la psicoanalisi in particolare? In effetti Deleuze e Guattari (citati in Stimilli, 2015) lanciano una critica feroce alla psicoanalisi freudiana e lacaniana, come strumento di soggettivazione e tecnica di potere. Con un po’ di amarezza riconosco di esserne un esempio, se dopo anni di analisi finalmente ho lasciato tutti i lavori da dipendente e ho aperto la mia partita iva e la mia assicurazione professionale!

Secondo Han “La psicopolitica neoliberale è la tecnica di dominio che, per mezzo della programmazione e del controllo psicologico, stabilizza e perpetua il sistema dominante. L’arte di vivere come prassi della libertà deve essere, perciò, la forma di una de-psicologizzazione” (Han, 2016).

Si parla anche di femminilizzazione della società e del lavoro, così caratterizzati dagli aspetti di cura e di amministrazione:

“la sovrapposizione dei tempi di lavoro con i tempi di vita, il coinvolgimento delle risorse affettive, cognitive e relazionali e l’individualizzazione dell’esperienza lavorativa, che fino a ieri segnavano il lavoro «invisibile» delle donne, sono oggi all’ordine del giorno nel mondo lavorativo nel suo complesso” (Stimilli, 2015).

Di più, il potere e il soggetto sono fondati dalla stessa relazione che li lega, “il potere costituisce il soggetto, determinando le condizione stesse della sua esistenza e le traiettorie del suo desiderio: ne consegue dunque che il potere non è più, o non solo, ciò a cui ci contrapponiamo, ma anche, in senso forte, ciò da cui dipende il nostro esistere e ciò che accogliamo e custodiamo nel nostro essere” (Butler, 2013).

Una logica paradossale

Nell’uomo indebitato si scontrano due diverse morali: quella ascetica, funzionale al lavoro, promossa dai media attraverso la colpevolizzazione, e quella edonista, funzionale al consumo, promossa dalla pubblicità; il paradosso di questa logica è che il dipendente deve guadagnare meno, l’utente dei servizi deve spendere meno, ma il consumatore deve spendere di più. La soluzione è, appunto, il credito.

Prende piede una nuova categoria sociale, il lavoratore povero, imprenditore della propria miseria, che presto diventa beneficiario di sussidi statati (ad esempio il Reddito di solidarietà attiva in Francia e prossimamente il Reddito di cittadinanza in Italia) che comportano il superamento dei dualismi fordisti (disoccupazione/impiego, salario/reddito, diritto del lavoro/diritto all’assistenza sociale, legge/contratto). Passando dalla logica del diritto universale a quella dell’investimento soggettivo, il lavoratore viene implicitamente ritenuto responsabile della propria condizione e dunque in debito con la società e con lo Stato. Fenomeno preoccupante, secondo Lazzarato, perché  “è con le tecnologie di governo dei poveri che si testano dispositivi di potere e di controllo che in un secondo tempo verranno estesi all’insieme della società” (Lazzarato, 2012).

Guattari (citato in Lazzarato, 2012) critica la posizione di Marx, che relegava la produzione di soggettività alla sovrastruttura, considerandola invece la prima e maggiormente importante forma di produzione, merce tra le merci. Un soggetto, per essere adatto all’economia del debito, deve essere capace di promettere (che pagherà), ricordare (la promessa) e avere coscienza (per onorarla). Il credito è atto di fiducia, lo dice la parola stessa (in italiano, ma anche in inglese e in tedesco, chi detiene un credito è “colui che crede”), che ha bisogno di garanzie materiali e immateriali, corporee e incorporee; la promessa è una memoria di volontà, il tempo è promessa di saldare il debito e disposizione anticipata del futuro.

La tecnologia del debito neutralizza il tempo, il rischio e i possibili, stimando l’inestimabile, “il debito non è solo un dispositivo economico, è anche una tecnologia securitaria di governo volta a ridurre l’incertezza dei comportamenti dei governati” (ibidem); il futuro è solo anticipazione del dominio presente. Ma una società senza tempo della scelta e della decisione, perché espropriato come tempo di lavoro e tempo di vita, è una società senza possibilità di cambiamento destinata a riprodurre i rapporti di potere. Purtroppo, la forza dell’economia del debito risiede nella sua apparenza di libertà, se pure nel cerchio dello stile di vita compatibile con il rimborso, con l’onorare il debito, fin dalla nascita e per tutta la vita.

Attraverso una nuova narrazione della storia, che vede il debito come prerequisito essenziale di ogni scelta (economica, ma anche politica e sociale) si perpetua il rapporto di sudditanza, che viene vissuto con rassegnazione. Si suscita il panico, che “provoca immobilismo, solitudine e incondizionata adesione alla narrazione dominante” (Bersani, 2017); il concetto stesso di “crisi”, nasconde, dietro l’apparente fatalità e transitorietà della situazione, il carattere sistemico delle difficoltà e il fatto che siano frutto di una lunga serie di decisioni prese negli ultimi quarant’anni, nel silenzio generale.

Serve dunque decostruire la narrazione dominante e ampliare i confini disciplinari, perché

“la schiavitù formale è stata eliminata […] la violenza è adesso in gran parte occultata. Ma solo perché non siamo più in grado di immaginarci un mondo diverso. […] Se siamo diventati una società del debito è perché il retaggio della guerra, della conquista e della schiavitù non ci ha mai completamente abbandonati. E’ ancora lì, inculcato nei nostri concetti più intimi di onore, proprietà, libertà, ma non riusciamo più a vederlo” (Graeber in Stimilli, 2015).

economia del debito e psicologia del debito
Foto di Gordon Johnson da Pixabay

Inoltre, “l’economia del debito ha obiettivi fortemente politici: la neutralizzazione dei comportamenti collettivi (garanzie sociali, solidarietà, cooperazione, diritti per tutti) e della memoria storica delle lotte, delle azioni, delle organizzazioni collettive” (Lazzarato, 2012).

E’ un movimento inarrestabile in cui non è possibile inserire alcuna regolamentazione; unica soluzione, per i più, è ribaltarne la logica e il senso. In quest’epoca opaca, in cui le forme di potere assumono sembianze inedite, che fonde l’estensione planetaria con la penetrazione capillare, occorrono nuove categorie di pensiero per nuove forme di resistenza.

Segue in “INDEBITO INTRATTENIMENTe – colpevoli nel debito, innocenti nel consumo (parte 3)”

Il presente articolo è riproducibile, in parte o in toto, esclusivamente citando autore e fonte

(Silvia Noris – www.silvianoris.it)

 

BIBLIOGRAFIA 

  • Anderson, G. A. (2012). Il peccato. La sua storia nel mondo giudaico-cristiano. Macerata: Liberilibri
  • Bersani, M. (2017). Dacci oggi il nostro debito quotidiano. Strategie dell’impoverimento di massa. Roma: DeriveApprodi
  • Butler, J. (2013). La vita psichica del potere. Teorie del soggetto. Milano-Udine: Mimesis Edizioni
  • Gazzaley, A. e Rosen, L. D. (2016). The distracted mind. Ancient brains in a hi-tech world. Cambridge: MIT Press
  • Han, B. (2017). Il profumo del tempo. Milano: Vita e Pensiero
  • Han, B. (2017). L’espulsione dell’Altro. Milano: Nottetempo
  • Han, B. (2016). Psicopolitica. Milano: Nottetempo
  • Lazzarato, M. (2012). La fabbrica dell’uomo indebitato. Saggio sulla condizione neoliberista. Roma: DeriveApprodi
  • Mattei, U. (2011). Beni comuni. Un manifesto. Roma-Bari: Editori Laterza
  • Sartori, G. (2000). Homo videns. Roma-Bari: Editori Laterza
  • Simone, A. a cura di (2014). Suicidi. Studio sulla condizione umana nella crisi. Milano-Udine: Mimesis Edizioni
  • Stimilli, E. (2015). Debito e colpa. Roma: Ediesse

 

FILMOGRAFIA

  • Il capitale umano (2014). Regia di Paolo Virzì
  • Il mercante di Venezia (2004). Regia di Michael Radford

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