I feromoni

Per leggere l’intero lavoro “Il ruolo della comunicazione chimica nella sessualità umana” consultate l’indice della mia tesi di laurea. Segue da “Parte prima. Capitolo 4: Il nervo terminale”

PARTE SECONDA. CAPITOLO 1: I FEROMONI

1.1 DEFINIZIONE DI FEROMONI

Il termine feromone, o ferormone, deriva del greco ferein, portare, e da hormone, eccitamento; letteralmente il suo significato è quindi quello di “portatore di eccitamento”. Fu usato per la prima volta nel 1959 in un saggio, pubblicato su Nature, dai due biologi Karlson e Lüscher; questi ultimi, dopo anni di studi e di osservazioni, si erano resi conto che tra gli animali era presente una forma di comunicazione che non era stata ancora identificata e che sembrava passare attraverso alcune sostanze, dalle funzioni poco chiare, che decisero di chiamare, appunto, feromoni.

Questa scelta terminologica derivava dal fatto che i feromoni condividono spesso con gli ormoni la stessa composizione chimica ma, invece di essere secreti all’interno dell’organismo, sono secreti all’esterno. Essi sono, infatti, conosciuti anche come ecto-ormoni: messaggeri chimici che sono trasportati all’esterno di un individuo e che hanno la capacità di evocare risposte fisiologiche o comportamentali in un altro individuo.

Secondo Karlson e Lüscher (1959) la capacità comunicativa feromonale è stata creata e mantenuta dalla selezione naturale; questo implica che essa contribuisca alla fitness evolutiva di entrambi gli individui coinvolti. Se il mutuo beneficio viene incluso come criterio nella definizione di feromone (Rutowski, 1981; Meredith, 1983), l’applicazione del termine diventa più restrittiva, ma più utilizzabile dal punto di vista scientifico.

In questo modo vengono esclusi dalla categoria di comunicazione feromonale molti esempi di reazione specifica a sostanze chimiche biologiche. Tra questi troviamo la predazione intra-specifica e la difesa chimica, in cui è chiaro che il beneficio riguarda soltanto uno dei due individui coinvolti. La comunicazione inter-specifica potrebbe essere mutualmente benefica, ad esempio nei casi in cui l’informazione riguardo alla difesa chimica è vantaggiosa per il ricevente perchè permette di evitarla. Tuttavia, secondo Meredith (2001) sembra utile limitare arbitrariamente il termine feromone alla comunicazione intra-specifica.

Attualmente, la definizione comunemente accettata di feromone è quella di “una sostanza secreta da un animale all’esterno dell’individuo, che viene ricevuta da un altro individuo, classicamente della stessa specie, in cui elicita qualche risposta, comportamentale o concernente lo sviluppo, in relazione alla sopravvivenza della specie” (Karlson e Lüscher, 1959).

i feromoni animali e umani
Foto di Nicola Giordano da Pixabay

Si tratta di sostanze organiche ed endogene (Karlson e Lüscher, 1959; Stern e McClintock, 1998), secrete da particolari ghiandole; la loro naturale escrezione sembra essere dipendente dal ciclo di produzione degli ormoni sessuali e diminuire con il declino della fertilità, sia esso naturale o chirurgicamente indotto.

La maggior parte dei feromoni consiste in una miscela di due o più elementi chimici; essi  devono essere emessi nelle esatte proporzioni per essere biologicamente attivi. Le ghiandole sessuali possono produrre composti addizionali correlati al feromone, la cui funzione è però spesso poco chiara.

Sembra, inoltre, che intense concentrazioni di feromoni diventino poco attraenti o addirittura aversive; questo potrebbe essere dovuto alla saturabilità dei recettori o a qualche altro meccanismo ancora inesplorato. Una volta saturati i recettori, dunque, l’aumento di quantità della sostanza non aumenta l’effetto della sostanza stessa.

Negli ultimi trent’anni è stato dimostrato che escrezioni feromonali nella regione dei genitali, dei seni, della bocca e delle ascelle sono presenti in una grande varietà di specie (Cohn, 1994; Filsinger et al., 1984; Gower, 1972; Gower et al., 1985; Russell, 1976).

Inoltre, numerosi lavori sperimentali hanno dimostrato che si verificano cambiamenti nei comportamenti riproduttivi o sociali specie-specifici e nel ciclo riproduttivo femminile, in risposta all’applicazione di feromoni sia naturali che di sintesi (Bartoshuk e Beauchamp, 1994; Cowley e Brooksbank, 1991; Gustavson et al., 1987; Singer, 1991).

Secondo molti studiosi, la presenza di un cambiamento comportamentale è una prova sufficiente dell’esistenza dei feromoni, anche in assenza di consapevolezza del comportamento stesso.

 

1.2 CLASSIFICAZIONE DEI FEROMONI ED ESEMPI DAL MONDO ANIMALE

Dopo molte centinaia di studi, possiamo suddividere i feromoni in due grandi categorie:

-“primers”: producono un cambiamento di stato nel ricevente, di solito un cambiamento a lungo termine nella secrezione ormonale come quelli che avvengono durante il ciclo mestruale, la pubertà o la gravidanza, che lo induce a una risposta successiva. Esempi includono l’accelerazione della pubertà in femmine immature di topo che le porta in condizioni riproduttive in presenza di segnali chimici provenienti da maschi maturi (Vandeberg, 1983).

-“releasers”: causano risposte a breve termine, come il rilascio di neurotrasmettitori. Ad esempio, nei topi, una frazione della molecola GnRH può elicitare la risposta comportamentale stereotipata della lordosi da accoppiamento (Moss e Dudley, 1990).

L’idea che questo tipo di sostanze provochino un pattern comportamentale stereotipato, che non necessita cioè di ulteriori informazioni per il suo compimento, risulta forse inappropriato per i mammiferi, nei quali le risposte sono spesso modificate dall’esperienza e da altre contingenze.

Attualmente si ritiene che esse elicitino risposte comportamentali (Bronson, 1971,1976; Albone, 1984).

Anche le forme di vita più semplici sono in grado di produrre questo genere di sostanze per segnalare, oltre alla maturità sessuale, anche situazioni di pericolo o necessità di aggregazione.

Questo tipo di linguaggio è usato, ad esempio, dal maschio di farfalla del baco da seta

orientale che, attraverso recettori specifici presenti nelle antenne, percepisce la presenza di una femmina anche a chilometri di distanza, e inizia la ricerca seguendo un percorso a zig-zag, chiamato anemotassia, attorno ad una linea immaginaria, che lo guida verso la fonte.

Il feromone presente in alcune ghiandole del maschio di rana verde (Litoria splendida) viene invece liberato in acqua, durante il periodo della riproduzione, per indurre gli esemplari femmina ad avvicinarsi.

Allo stesso modo, una falena femmina può attrarre i maschi da parecchi chilometri di distanza,  emettendo un particolare feromone in ridottissime quantità; una femmina produce, infatti, circa un milionesimo di grammo di questo feromone, e il maschio può individuarne concentrazioni dell’ordine di poche centinaia di molecole per millilitro, in quanto questa sostanza conserva la propria potenza anche se dispersa su vasto raggio.

Per quanto riguarda gli insetti, quindi, i feromoni sono prodotti da ghiandole esocrine e si disperdono attraverso mezzi di diffusione non immobili, come l’acqua o l’aria, in diversi gradienti di concentrazione, attraverso i quali l’individuo che li riceve viene guidato verso la loro fonte.

Le categorie di funzioni dei feromoni sono:

riconoscimento specifico, che comprende:

-i sistemi di raggruppamento o aggregazione, in cui il feromone attrae verso la sua fonte;

-i sistemi di dispersione, in cui la sostanza attrae i conspecifici ma, una volta raggiunte alte concentrazioni, ha un effetto repulsivo;

-i sistemi di regolazione della differenziazione di casta, che permettono, ad esempio, che ci sia un’ape regina ogni 100.000 operaie;

cooperazione sociale, che comprende:

-i segnali d’allarme;

– i segnali di avvertimento, usati ad esempio dalle specie velenose o repellenti;

-i segnali di cibo.

Questo sistema di comunicazione viene utilizzato anche dalle specie non sociali ed è diretto anche ai non conspecifici.

Le formiche liberano feromoni per lasciare una traccia che conduce verso una fonte di cibo. Le formiche operaie di molte specie liberano feromoni che fungono da segnali d’allarme quando esse sono minacciate da un nemico: il feromone si diffonde nell’aria, avvisando le altre formiche di accorrere in aiuto; se anch’esse incontreranno il pericolo, rilasceranno a loro volta il feromone, in modo da aumentare o diminuire il segnale a seconda dell’entità del pericolo stesso.

Allo stesso modo, quando un’ape punge, insieme al pungiglione, lascia nella pelle anche una sostanza chimica che spinge all’attacco le altre api;

attrazione e riconoscimento sessuale, che guidano, ad esempio, verso le femmine mature.

Le funzioni che queste sostanze possono svolgere sono, quindi, quelle di aggregazione, di dispersione, di aggressione e di riconoscimento.

La biotecnologia sfrutta questo tipo di comunicazione attraverso l’uso di feromoni sintetici, per effettuare il conteggio dei maschi di alcune specie e per il controllo degli insetti nocivi, tramite catture massive o tramite la diminuzione del numero di accoppiamenti.

L’International Organization of Biological Control (IOBC), fondata nel 1956, promuove metodi, sicuri dal punto di vista ambientale, per il controllo degli insetti nocivi nella protezione delle piante.

Quando sono usati in combinazione con le trappole, i feromoni sessuali possono essere utilizzati per determinare quanto una data specie sia presente in un raccolto e per valutare l’entità dell’eventuale danno provocato.

Se la sostanza attraente sintetica è particolarmente attiva e se il livello della popolazione è molto basso, il controllo può essere attuato tramite una tecnica chiamata “attract & kill” (attrai e uccidi).

Generalmente, comunque, la tecnica chiamata “mate disruption” (interruzione dell’accoppiamento) è più efficace: essa si basa sul disorientamento provocato, nei maschi, dalla copertura delle reali emissioni delle femmine, ottenuta tramite il rilascio di feromoni sintetici da numerose fonti, piazzate in tutto il campo da proteggere. I maschi sono così incapaci di localizzare le femmine e il numero degli accoppiamenti, e di conseguenza della prole, diminuisce.

Questa tecnica si è dimostrata molto soddisfacente nel controllo di numerosi insetti nocivi: più del 20% dei vigneti in Germania e in Svizzera la utilizza per produrre vino senza l’uso di insetticidi.

Per quanto riguarda gli esseri umani, sono state identificate quattro classi di feromoni:

-sostanze che, prodotte dalle donne in allattamento e dalla pelle dei neonati, facilitano il riconoscimento madre-figlio e ne rafforzano il legame;

-feromoni che funzionano come marcatori territoriali maschili o come repellenti per

allontanare i rivali dello stesso sesso;

-sostanze ascellari, maschili e femminili, coinvolte nel mantenimento della fertilità e nella sincronizzazione del ciclo mestruale;

– feromoni che hanno la funzione di attrarre gli individui di sesso opposto.

 

1.3 SOSTANZE CANDIDATE AL RUOLO DI FEROMONI UMANI

L’odore corporeo naturale è il risultato della degradazione batterica della secrezione sudoripara prodotta dalle ghiandole apocrine (Gower et al., 1985). Queste, che negli esseri umani non regolano la temperatura corporea come avviene in altri animali, si trovano sul viso, sul petto, nella zona genitale e raggiungono un’altissima concentrazione nelle ascelle; come quelle eccrine e quelle sebacee, le ghiandole apocrine sono associate ai peli. Esse hanno una struttura tubolare a spirale e un diametro di circa 2mm. Lo sviluppo di queste ghiandole avviene nello stato embrionale, ma esse diventano funzionali solo con la pubertà e sembrano, per questo, influenzare il comportamento sessuale in alcune specie (Furlow, 1996).

L’odore corporeo non deve essere necessariamente percepito consciamente perché possa avere un effetto sul ricevente; è stato dimostrato, infatti, che gli odori influenzano il nostro comportamento anche se usati in quantità troppo basse per raggiungere il livello della percezione cosciente.

E’ importante ricordare, comunque, che qualunque odore, anche quello più piacevole, può diventare aversivo se prodotto in concentrazioni troppo elevate. Anche le sostanze feromonali dunque, come gli altri odori, potrebbero avere  in questo caso degli effetti consapevoli ed aversivi sugli altri.

Gli esseri umani secernono centinaia di aromi chimici ogni giorno; nella ricerca dei possibili feromoni umani, viene adottata una tecnica a filtraggio, conosciuta come “alta anosmia specifica” (high specific anosmia), che serve per individuare quegli odori che certe persone sono in grado di percepire in quantità straordinariamente piccole, mentre altre non riconoscono neanche se “pure”.

Questa tecnica si basa sul fatto che gli odoranti chimici naturalmente secreti da una persona non sono consciamente riconosciuti dalla persona stessa.

Un metodo per verificare quali feromoni sono secreti naturalmente è quindi quello di presentare alcuni campioni puri di candidati chimici: se si è in grado di riconoscerli, significa che generalmente essi non sono presenti intorno a noi, altrimenti che essi sono normalmente secreti.

Questo vale anche per la quantità della sostanza: la quantità necessaria perché un soggetto la riconosca consciamente è la stessa che viene naturalmente prodotta.

Le sostanze chimiche candidate ad essere considerate feromoni umani sono:

ANDROSTENOLO; è un alcohol che appartiene alla famiglia dei 16-androstenes (1) ed ha un odore muschiato. Esso non viene prodotto prima della pubertà  e raggiunge il picco di produzione naturale intorno ai 20 anni, dopodiché diminuisce rapidamente. Gli uomini ne producono, in media, 2-3 volte in più delle donne. Di questo composto esiste anche l’isomero beta, meno usato, che sembra avere effetti leggermente differenti.

L’effetto più interessante è che l’androstenolo può influenzare le impressioni ed il giudizio delle persone.

In uno studio (Kirk-Smith et al., 1978), ad un gruppo di soggetti venne detto che l’esperimento era finalizzato a verificare come lo stress di indossare una maschera chirurgica avrebbe influenzato le loro decisioni. Ai soggetti vennero mostrate fotografie di uomini, donne, alberi ed edifici e venne loro chiesto di giudicarle, mentre indossavano la maschera, su una scala di aggressivo-passivo, attraente-non attraente, amichevole-non amichevole, eccetera.

Ogni soggetto venne testato due volte, a distanza di due settimane; in una delle due sessioni sulla maschera venivano messe piccolissime quantità di androstenolo.

Anche se le fotografie mostrate erano esattamente le stesse, i giudizi furono differenti: gli animali furono giudicati più imprevedibili; uomini e donne più sensibili, intelligenti, sessualmente attraenti, amichevoli e sicuri di sé.

Sembra inoltre che l’androstenolo possa offrire dei benefici alle donne che soffrono di sindrome premestruale (PMT). Dal momento che le donne tendono a sviluppare questi sintomi relativamente tardi nella vita, l’assunzione originaria era che questi potessero essere causati da disturbi ormonali; recenti ricerche hanno mostrato che le donne che soffrono di questo disturbo traggono benefici dall’odore di uomini fertili.

L’androstenolo potrebbe essere un buon sostituto per le donne che vivono da sole o per quelle il cui partner non ne secerne più in quantità sufficienti.

ANDROSTADIENOLO; è il precursore inodore dell’androstenolo.

ANDROSTENONE; è un ketone che appartiene alla famiglia dei 16-androstenes, ed ha un odore simile a quello dell’urina. Esso è uno steroide prodotto dalle gonadi ed è conosciuto per i suoi effetti comportamentali, come quello di facilitare la risposta di lordosi nelle femmine di ratto (Reed et al., 1974).

Le secrezioni ed escrezioni umane contengono androstenone in un grado che va da 15pmol/mg di peli delle ascelle (Nixon et al., 1988) a 40-603ng/ml di secrezioni apocrine negli uomini (Labows e Preti, 1992); nelle donne esso è presente in concentrazioni nettamente più basse.

Molti studi hanno dimostrato come molti adulti normali non sono in grado di riconoscerne l’odore; nella popolazione normale circa il 40-50% sembra avere una sensibilità molto bassa (Amoore, 1991; Dorries et al., 1989; Labows e Wysocki, 1984; Wysocki e Beauchamp, 1984; 1991).

Tuttavia, una piccola porzione sembra presentare una reale anosmia specifica a questo componente (Bremner et al., 2002). La prevalenza di questa è di circa il 10% in età compresa tra i 9 e i 14 anni e il 45% dai 20 anni in su (Dorries et al., 1989).

E’ interessante notare che il 50% della popolazione con questa anosmia specifica può essere sensibilizzata all’androstenone tramite esposizioni ripetute (Wysocki et al., 1989). Nonostante questi cambiamenti sembrino avere un’origine periferica (Yee e Wysocki, 2001), recenti studi su soggetti con anosmia all’androstenone indicano che processi nervosi centrali contribuiscono a questo fenomeno (Mainland et al., 2002; Voznessenskaya e Wysocki, 2002). Nello specifico, ripetute presentazioni di androstenone ad una sola narice sembrano riuscire a sensibilizzare anche l’altra.

Altri lavori indicano che l’induzione della sensibilità olfattiva sembra essere un fenomeno più generale che può essere osservato per molti odoranti (Dalton et al., 2002). Non è tuttora chiaro perché alcune persone possano essere sensibilizzate ed altre no, ma è stato suggerito che la distribuzione dell’anosmia abbia una componente genetica (Wysocki e  Beauchamp, 1984).

L’androstenone è stato utilizzato in studi che ricercavano effetti “feromonali” negli esseri umani (Kirk-Smith e Booth, 1980; Filsinger et al., 1984; Pause et al., 1999; Morofushi et al., 2000) soprattutto a causa dei suoi ben documentati effetti nei maiali (Reed et al., 1974) e della sua presenza nelle escrezioni umane.

L’aroma di questo composto sembra essere, ad ogni modo, l’essenza dell’aggressività e della dominanza.

ANDROSTADIENONE; è il precursore inodore dell’androstenone. Esso è uno steroide naturalmente presente nell’uomo (Gower e Ruparelia, 1993); è stato trovato nei peli ascellari degli uomini, nella quantità di 0-143pmol/mg di peli (Nixon et al., 1988; Rennie et al., 1990), nel loro plasma, nella quantità di 98ng/100ml di sangue (Brooksbank et al., 1969; Fukushima et al., 1991), nella pelle (Preti e Wysocki, 1999), nel sudore (Labows, 1988) e nello sperma (Kwan et al., 1992).

Nonostante sia presente anche nelle donne, esso è generalmente in concentrazioni molto minori, misurabili nella quantità di 36ng/100ml di sangue (Brooksbank et al., 1972); per questo motivo è stato ipotizzato che l’androstadienone sia un feromone maschile.

ESTRATETRAENOLO; è stato isolato dall’urina di donne nel terzo trimestre di gravidanza (Thysen et al., 1968) ed è considerato l’equivalente femminile dell’androstadienone.

L’androstadienone e l’estratetraenolo sono gli unici due composti che si sono dimostrati in grado di attivare il VNO; essi sembrano avere, inoltre, effetti sesso-specifici.

ANDROSTERONE; nonostante sia citato da numerose compagnie che vendono profumi e farmaci a base di feromoni, non esistono molte informazioni credibili, dal punto di vista scientifico, riguardo a questo composto.

ACIDI GRASSI o COPULINE; sono una miscela di acidi volatili a catena corta, naturalmente presenti nel fluido vaginale femminile ed hanno un odore debolmente fruttato. La loro composizione varia durante il ciclo mestruale (Micheal et al., 1975); vengono secreti maggiormente nel periodo di fertilità e il loro livello può essere drasticamente ridotto da uno squilibrio ormonale dovuto all’uso di contraccettivi orali o alla menopausa.

(1) La famiglia dei 16-androstenes comprende i metaboliti degli androgeni, gli ormoni sessuali caratteristicamente maschili, che sono secreti dalle ghiandole apocrine. E’ importante ricordare che gli odori vengono prodotti dall’attività  dei microorganimi Corynebacteria ssp, che trasformano, ad esempio, i precursori inodori androstadienolo e androstadienone nel composto odoroso 5a-androstenone. Se le ascelle vengono trattate con detergenti antibatterici, la produzione di androstenone diminuisce significativamente.

 

1.4 IL LEGAME MADRE-FIGLIO

Per quanto riguarda il riconoscimento madre-figlio, prove a sostegno dell’esistenza di odori specifici dell’individuo vengono da studi in cui le madri hanno identificato i loro figli  neonati dall’odore di una maglietta precedentemente indossata dai neonati stessi (Schaal et al., 1980). Dall’altro lato, i neonati sembrano preferire l’odore di garze che sono state a contatto col seno o con le ascelle delle proprie madri, distinguendolo dall’odore di altri familiari (Schaal et al., 1991): all’età di 6 settimane, 8/10 neonati hanno risposto succhiando la garza indossata per tre ore dalla propria madre, 1/10 neonato ha risposto succhiando la garza indossata da un’altra donna e 1/10 neonato non ha reagito alla garza materna, ma ha pianto con la garza estranea.

I feromoni implicati nella relazione madre figlio sono stati studiati in modelli animali: per questo fenomeno di apprendimento che, nei mammiferi, permette alle madri di riconoscere l’odore dei propri figli e che scatena nei neonati il riflesso di succhiare, sembra che l’accesso dello stimolo avvenga attraverso i recettori olfattivi. Una volta raggiunto il MOB (Main Olfactory Bulb), l’impulso viene proiettato verso le aree neocorticali di processamento. Dal momento che, negli animali, la distruzione del VNO non interrompe questo tipo di fenomeno, sembra evidente che l’impulso raggiunga le sue aree di proiezione bypassando il VNO senza nessuna apparente comunicazione. Viene quindi suggerito che la connessione neurofisiologica venga mantenuta unicamente dal sistema olfattivo principale.

Risultati contrastanti sono stati però riportati da un altro studio (Rodrìguez-Martìn et al., 1998), dal quale emerge che il sistema vomeronasale è direttamente implicato nell’espressione del comportamento materno naturale e indotto, per quanto riguarda i roditori. Lo studio si proponeva di verificare se il trattamento di stress prenatale (PS) potesse o meno causare un effetto a lungo termine nell’induzione del comportamento materno e sull’attivazione delle cellule mitrali del AOB (Accessory Olfactory Bulb) nelle femmine di topo. L’ipotesi era che lo stress prenatale possa influenzare, durante periodi critici dello sviluppo prenatale, l’organizzazione cerebrale, modificando il processamento degli input e gli output comportamentali collegati a stimoli rilevanti. Utilizzando la tecnica di visualizzazione fos-immunocitochimica della proteina c-fos come marcatore dell’attività neurale, sono emersi i seguenti risultati: la percentuale di comportamenti materni verificatisi nel gruppo sottoposto a PS era significativamente più bassa di quella nel gruppo di controllo; l’espressione di c-fos era maggiore nelle femmine del gruppo di controllo che presentavano comportamenti materni, rispetto alle femmine del gruppo di controllo che non mostravano comportamenti materni e rispetto al gruppo PS. Sembra, quindi, che l’attivazione delle cellule del AOB sia associata alla presenza del comportamento materno, indipendentemente dalla presenza o meno del trattamento.

 

1.5 I MARCATORI TERRITORIALI

In uno studio, più aneddotico che scientifico, alcune sedie di un teatro venivano spruzzate con androstenone: le donne sembravano preferire le sedie spruzzate, mentre gli uomini sembravano evitarle. Il medesimo studio, ripetuto con le cabine telefoniche, ha mostrato risultati simili: le donne sceglievano le cabine spruzzate e la durata media delle loro telefonate aumentava; gli uomini evitavano invece le cabine spruzzate, come se fossero tenuti lontani da un territorio già segnato da qualcuno più dominante di loro.

Nonostante i risultati presentati debbano essere esaminati con estrema cautela, dal momento che gli studi che li hanno prodotti non sono veri e propri lavori sperimentali, essi possono comunque essere considerati buoni punti di partenza per ulteriori studi.

Sia l’androsteolo che l’androstenone possiedono, comunque, un odore ed una struttura chimica quasi identica a muscone e civetone, feromoni animali utilizzati come afrodisiaci.

Inoltre George Dodd, dell’University of Warwick, ha scoperto uno steroide, da lui denominato “Osmone 1”, che potrebbe essere un precursore dell’androstenone (Dodd e Persaud, 1981).

Esso sembra possedere qualità rilassanti e tranquillizzanti  nell’aromaterapia e le donne sembrano essere 1.000 volte più sensibili degli uomini all’odore muschiato delle sue molecole steroidee.

 

1.6 FERTILITA’ E SINCRONIZZAZIONE DEL CICLO MESTRUALE

La classe di feromoni maggiormente studiata è quella dei feromoni sessuali, che provocano alcuni ben noti effetti di sincronizzazione dei processi di maturazione, studiati soprattutto nei topi:

effetto Lee-Boot: per il quale femmine, allevate in gruppo ed in assenza del maschio, tendono a presentare cicli irregolari e anestro. La soppressione dell’estro permette di conservare l’energia normalmente utilizzata nel ciclo quando non c’è la possibilità di gravidanza (Van Der Lee e Boot, 1955). Questo avviene anche in femmine a digiuno, per le quali la conservazione di energia è essenziale (Wade e Schneider, 1992).

La soppressione riproduttiva in femmine subordinate, come può accadere in alcune specie di primati (Barrett et al., 1993), può anche coinvolgere una conservazione di sforzo metabolico fino al ritorno di circostanze maggiormente favorevoli. Nei casi in cui le femmine subordinate e dominanti siano geneticamente correlate, potrebbe esserci un aumento nella fitness complessiva, che trae vantaggio dal contributo individuale al successo riproduttivo di un individuo che porta alcuni degli stessi geni;

effetto Whitten: per il quale se un maschio viene introdotto in un gruppo di femmine allevate insieme, il calore insorge dopo circa 72 ore, provocando una sincronizzazione del ciclo mestruale. Questo effetto viene utilizzato per avere cucciolate della stessa età (Whitten, 1959);

effetto Bruce, per il quale un maschio provoca l’interruzione della gravidanza in una femmina fecondata da un altro maschio e il ritorno dell’estro nell’arco di 3-4 giorni. Perché questo effetto si verifichi, non è necessario che il maschio sia fisicamente presente; basta infatti che la femmina sia esposta alla sua urina, ma questo si deve verificare entro 5 giorni dopo il coito (Bruce, 1959, 1960a, 1960b; Cowley e Springen, 1997);

effetto McClintock, per il quale le femmine che vivono in gruppo, isolate dai maschi, subiscono una progressiva sincronizzazione dei loro cicli mestruali.

Il lavoro pionieristico di McClintock (1971) ha fornito una delle prime prove a sostegno dell’ipotesi dell’esistenza di fonti ascellari di feromoni negli esseri umani, scoprendo che un gruppo di studentesse, che passavano insieme quantità significative di tempo, mostravano una progressiva sincronizzazione dei loro cicli mestruali e attribuendo questo effetto agli odori (feromoni). Alcuni anni dopo, la scoperta fu avvalorata da un altro studio (Preti et al., 1986), nel quale vennero prelevati giornalmente dei campioni di sudore da 5 donne con cicli regolari di 29 giorni; i campioni vennero poi applicati al labbro superiore di altre donne, tre volte a settimana per quattro mesi. In questo periodo di tempo, i soggetti sperimentali avevano le mestruazioni nello stesso periodo delle donatrici significativamente più spesso rispetto al gruppo di controllo. Divenne così chiaro che la sincronizzazione delle mestruazioni, e quindi dell’ovulazione, è controllata dai feromoni.

Seguendo la scia di questo studio, Stern e McClintock (1998) hanno in seguito dimostrato che alcune componenti ascellari inodori provenienti da donne donatrici possono influenzare il ciclo mestruale di donne che le ricevono.

In questo lavoro sono state posizionate delle garze sterili di cotone sotto le ascelle di nove donne, in età riproduttiva e con relazioni eterosessuali. Dopo almeno otto ore, le garze venivano trattate con alcol e congelate; un anno più tardi venivano scongelate e filtrate, per rimuovere tracce di odori e di batteri, e raggruppate in base alla fase del ciclo mestruale delle donatrici. Le garze, con il feromone e di controllo, sono state poi applicate sotto il naso di altre venti donne, con cicli mestruali dalla lunghezza anomala, tre volte a settimana per quattordici settimane. I risultati hanno mostrato che le garze provenienti dalle donatrici, ma non quelle di controllo, provocavano una sincronizzazione dei cicli mestruali con quelli delle donatrici stesse. In particolare, le donne che avevano ricevuto garze provenienti da donatrici in fase preovulatoria hanno subito un accorciamento del loro ciclo da 1 a 14 giorni; le donne che avevano invece ricevuto garze provenienti da donatrici in fase postovulatoria hanno subito un allungamento del loro ciclo da 1 a 12 giorni. Questo suggerisce che esistano delle sostanze chimiche che, prodotte dalle donne, hanno la capacità di accorciare o allungare il ciclo delle donne che le ricevono, portando ad una progressiva sincronizzazione dei cicli mestruali stessi.

Numerose ricerche successive hanno confermato questi dati, concludendo che l’applicazione di feromoni della fase preovulatoria abbrevia la fase follicolare, anticipando l’ovulazione, mentre feromoni della fase postovulatoria la ritardano. Questi effetti sembrano essere piccoli ma progressivi, e sembrano verificarsi nella stragrande maggioranza dei casi.

Ad ogni modo, essendo le garze utilizzate per questo tipo di esperimenti applicate sul labbro superiore, resta comunque difficile stabilire in che modo queste sostanze vengano percepite, se cioè passino attraverso la pelle, la mucosa nasale o l’organo vomeronasale.

Inoltre, nonostante siano state fornite numerose prove dell’esistenza di segnali chimici nelle secrezioni ascellari, queste prove non dicono nulla riguardo all’esistenza reale di un VNO funzionante.

 

1.7 I SEX ATTRACTANT

Il lavoro pionieristico dello psichiatra Richard Michael, presso la Emory University, mostrò come le scimmie rhesus, dopo essere state sottoposte a ovariectomia, perdano la capacità di attirare l’attenzione sessuale dei maschi, nonostante mantengano il comportamento caratteristico di mostrare il sedere, come sollecitazione attiva. Nel 1971, Michael ed i suoi collaboratori, mostrarono come gli strisci vaginali, provenienti da femmine integre e sessualmente attive, potessero essere usati, se applicati topicamente a femmine post-ovariectomizzate, per ripristinarne la capacità attrattiva.

Queste sostanze, denominate da lui “copuline” (2), hanno dunque la funzione feromonale di attrarre individui del sesso opposto; il loro utilizzo in lavori sperimentali sugli esseri umani non ha però portato a risultati positivi, probabilmente a causa delle loro specie-specificità.

(2) Le copuline sono acidi grassi volatili, normalmente presenti nelle secrezioni vaginali; la loro composizione varia lungo il ciclo mestruale femminile (Michael et al., 1975). Vedi capitolo 1.3, parte seconda.

 

1.8 ABILITA’ OLFATTIVA E SESSUALITA’

Per verificare l’ipotesi che una normale abilità olfattiva sia effettivamente essenziale per un’adeguata vita sessuale, sono stati studiati individui anosmici, individui che hanno cioè dei deficit nella sensibilità olfattiva. Questi studi non hanno però confermato l’ipotesi iniziale, dal momento che non sono stati rilevati deficit sessuali in questo tipo di soggetti.

Questo dato, insieme al fatto che esistono risposte a sostanze inodori, suggerisce che i feromoni sortiscano il loro effetto indipendentemente dall’odore che hanno e indipendentemente dalla capacità che le persone hanno di distinguerli e di riconoscerli.

Nonostante questo, sembra che, negli esseri umani, i feromoni lavorino effettivamente attraverso il sistema olfattivo, pur essendo inodori e pur non producendo effetti di cui siamo consapevoli.

Dal momento che la fase periovulatoria del ciclo mestruale sembra essere quella in cui le donne risultano essere maggiormente sensibili agli stimoli olfattivi, alcuni studiosi hanno ipotizzato che la pillola anticoncezionale possa influire sulla sensibilità olfattiva delle donne (Doty et al., 1981). In uno studio (Caruso et al, 2001), che coinvolgeva 60 donne con un età compresa tra i 18 e i 40 anni, che non facevano uso di contraccettivi orali, è stata misurata l’abilità di individuare sei diverse sostanze: anice, muschio-ketone, essenza di garofano, piridina, limone e ammoniaca. Le misurazioni sono state effettuate in tre momenti definiti del ciclo mestruale: nella fase follicolare, giorni 5-8 del ciclo, nella fase periovulatoria, giorni 13-16 del ciclo, e nella fase luteinica, giorni 18-23 del ciclo. I risultati hanno rivelato una maggiore sensibilità per tutti gli odori durante la fare periovulatoria.

Alle volontarie fu poi prescritta la pillola, a metà dei soggetti una combinazione di ethiniloestradiolo e gestodene, all’altra metà una combinazione di ethiniloestradiolo e desogestrel.

Dopo tre mesi di assunzione, fu nuovamente misurata la sensibilità olfattiva, stavolta nei giorni 7°, 14° e 21° del ciclo a 28 giorni della pillola. In questa sessione non furono evidenziate differenze nella sensibilità nelle tre diverse misurazioni; il livello di sensibilità olfattiva sembrava essere costantemente e significativamente simile a quello riscontrato nella fase luteinica e differente da quello riscontrato nella fase periovulatoria nelle sessioni antecedenti all’assunzione della pillola.

Nelle pillole monofasiche, i cui ormoni sono principalmente progestinici, l’effetto è dunque simile a quello presente durante la naturale fase luteinica del ciclo mestruale.

Questo studio conferma quindi l’ipotesi che gli steroidi iatrogeni, come quelli presenti nei contraccettivi orali, possano influenzare la sensibilità olfattiva delle donne. E’ probabile che, a livello biologico, gli odori influenzino i processi riproduttivi anche negli esseri umani, ma sono necessari studi ulteriori per capire quali significati possa assumere il concetto di ovulazione nascosta e in che modo queste variazioni nella sensibilità olfattiva possano influenzare la vita sessuale delle donne (Grammer, 1993).

 

1.9 ODORE CORPOREO ED EMOZIONI

1.9.1 INTRODUZIONE

Da molto tempo si conosce la possibilità che molti animali, dagli invertebrati (anemoni di mare, formiche, afidi, api, lombrichi) ai pesci (pescegatto) fino ai mammiferi (topi e ratti), hanno di comunicare la paura e le situazioni di allarme attraverso cambiamenti nel loro odore corporeo (Todd et al., 1967; Wilson, 1975; Nault et al.,1976; Agosta, 1992). 

Una sostanza chimica rilasciata da un animale sotto stress, come ad esempio può essere uno shock elettrico, una ferita o un pericolo incombente, può allertare altri animali, di solito della stessa specie, sia affinché scappino, sia affinché si raggruppino per attaccare un predatore.

I ratti sono in grado, per esempio, di distinguere se altri ratti sono sottoposti a tensione oppure no attraverso il loro odore; possono inoltre imparare a premere una barra in presenza del primo odore e ad interrompere la pressione una volta introdotto il secondo odore (Valenta e Rigby, 1968).

Inoltre, l’odore di ratti sotto tensione può abbassare la risposta immunitaria in ratti non stressati (Cocke et al., 1993) e, come altri agenti stressanti, attivare i meccanismi endogeni che inibiscono il dolore (Fanselow, 1985) e indurre comportamenti di evitamento (Rottman e Snowdon, 1972).

Dal momento che questa reazione non si osserva in animali che hanno subito l’asportazione chirurgica della mucosa olfattiva, se ne deduce che questo genere di informazioni sia comunicato dal sistema olfattivo (Rottman e Snowdon, 1972).

Secondo la ”ipotesi della supremazia emotiva”, le reazioni emotive, sia positive che negative, possono essere evocate anche senza un processamento di tipo cognitivo, cioè anche quando lo stimolo non viene consciamente percepito. Alcuni autori (Kohl et al.,2001) hanno ipotizzato che l’importanza dei segnali non-verbali nella comunicazione umana si basi proprio sul processamento di informazioni che avviene nel sistema limbico senza l’interpretazione cosciente, quindi corticale, del contenuto del segnale.

La natura pressoché universale delle espressioni emotive nelle differenti specie suggerisce un’evoluzione condivisa e la natura fondamentale dell’emozione. Inoltre, dal punto di vista filogenetico, l’espressione emotiva precede lo sviluppo del nostro linguaggio evoluto e la nostra forma attuale di pensiero.

 

1.9.2 IL LAVORO SPERIMENTALE

In un lavoro sperimentale, Chen et al. (2000) hanno esaminato la capacità di distinguere l’odore di individui allegri o spaventati.

Questo studio si proponeva di valutare se l’odore corporeo umano possa o meno comunicare informazioni di tipo emozionale riguardanti l’individuo che lo emette, ad altri in grado di individuarle.

I volontari che hanno partecipato a questo lavoro sperimentale, studenti o personale dell’Università del New Jersey, tutti non fumatori, sono stati suddivisi in “donatori”, 14 donne e 11 uomini e “osservatori”, 40 donne e 37 uomini; tutti i donatori, tranne uno, hanno partecipato anche come osservatori.

Lo stato emozionale dei “donatori” venne manipolato attraverso la visione di due parti di film, trasmesse in due giorni consecutivi e con un ordine di visione controbilanciato. L’umore felice fu indotto  da un pezzo di 13 minuti tratto da una commedia e l’umore spaventato  da 13 minuti di un film su serpenti, insetti e coccodrilli.

L’ipotesi di base era quella secondo cui che il feedback facciale possa influenzare l’esperienza soggettiva di un’emozione, cioè che l’esagerazione dell’espressione facciale possa aumentare la reazione emotiva (Izard, 1971; Tomkins, 1979; Zuckerman et al., 1981).

Durante la proiezione del filmato, i soggetti tenevano una garza sotto le ascelle. La consegna era quella di lavarsi la sera precedente la sessione, nella quale avrebbero dovuto esternare le emozioni in modo da far capire agli osservatori il genere del film, basandosi sulle loro espressioni facciali.

Al termine di ciascun filmato, i soggetti giudicavano quanto si erano sentiti allegri o spaventati durante la proiezione del filmato, scegliendo il punteggio di una scala a 7 punti (1= per niente, 7 = molto); i risultati mostrarono come i soggetti si sentissero felici durante la commedia e moderatamente spaventati durante il film dei serpenti.

Dopo il filmato le garze venivano raggruppate, a seconda del film visto e del sesso del donatore, e immagazzinate in contenitori di vetro a -80°, come anche i tamponi di controllo.

Una settimana, dopo ai soggetti veniva chiesto di annusare i tamponi, due volte per ciascuno, e di identificare un odore particolare, in una scelta multipla a tre o a sei.

Il sesso del donatore non veniva menzionato e non venivano date informazioni sulle risposte corrette e non.

Nella prima sessione doveva essere individuato l’odore di una persona felice, scegliendo tra l’odore di una donna che aveva visto il filmato divertente, l’odore di una donna che aveva visto il filmato spaventoso e l’odore di controllo; nella seconda sessione doveva essere individuato l’odore di una persona spaventata, scegliendo tra gli stessi odori della sessione precedente; nella terza sessione doveva essere individuato l’odore di una persona felice, scegliendo tra l’odore di un uomo che aveva visto il filmato divertente, l’odore di un uomo che aveva visto il filmato spaventoso e l’odore di controllo; nella quarta sessione doveva essere individuato l’odore di una persona spaventata, scegliendo tra gli stessi odori della sessione precedente; nella quinta sessione doveva essere individuato l’odore di una persona felice, scegliendo tra tutti e sette gli odori delle sessioni precedenti; nella sesta sessione doveva essere individuato l’odore di una persona spaventata, scegliendo tra gli stessi odori della sessione precedente.

Secondo i risultati, le donne identificavano correttamente l’odore di uomini felici e spaventati e di donne felici, ma non quello di donne spaventate; gli uomini, invece, identificavano correttamente l’odore di donne felici e di uomini spaventati, ma non quelli di uomini felici e di donne spaventate.

Non sono state riscontrate differenze significative tra donatori e non donatori; inoltre i soggetti non percepivano i tamponi di controllo come inodori e non erano in grado di discriminarli dagli altri.

 

1.9.3 CONCLUSIONI

Da questo studio risulta dunque chiaro che:

  • gli stati emozionali umani sono accompagnati da cambiamenti nell’odore corporeo;
  • le donne identificano gli odori meglio degli uomini.

Esso conferma inoltre alcuni risultati di studi precedenti:

  • le donne superano gli uomini nella discriminazione tra l’odore delle mani di due individui dello stesso sesso (Wallace, 1977);
  • le donne identificano il sesso dei donatori basandosi sulle differenze di intensità dell’odore del fiato (Doty et al., 1982);
  • le donne sono in grado di identificare, tramite l’odore, la propria T-shirt (indossata per 24 ore) in un gruppo di 10 T-shirt identiche (Lord e Kasprzak, 1989);
  • le donne sono più brave a riconoscere e identificare odori sintetici e hanno soglie più basse per alcuni odori (Koelega, 1970; Koelega e Koster, 1974; review in Doty, 1981).

A parte la sensibilità olfattiva, le donne forniscono performances migliori nel decifrare i segnali emozionali degli altri, anche di tipo visivo e uditivo (Brody e Hall, 1993).

Molti aspetti del riconoscimento olfattivo e dell’identificazione degli odori possono derivare da apprendimenti e condizionamenti. E’ stato infatti dimostrato (Kirk-Smith et al, 1983; Epple e Herz, 1999) che un odore, presentato mentre i soggetti completano un compito molto stressante, può in un secondo momento riattivare lo stress negli stessi soggetti, anche in assenza del compito.

Esistono però prove evidenti (Dell’Ome et al., 1994; Fluck et al., 1996) che la capacità percettiva e la reazione comportamentale a certi segnali, significativi dal punto di vista biologico, come ad esempio l’evitamento degli odori dei predatori, possono essere innate.

Alcune ricerche hanno inoltre dimostrato come sia gli uomini (Ohman, 1992; Ohman et al., 2000) che gli animali (Le Doux, 1990) siano predisposti a seguire alcuni segnali di pericolo velocemente ed automaticamente, con o senza consapevolezza.

Ad esempio, Globisch et al. (1999), hanno dimostrato come in alcuni soggetti si sia verificato un aumento del battito cardiaco e della pressione sanguigna di fronte a foto di animali pericolosi, ma non di fiori e funghi, anche quando il contenuto di entrambi era mascherato e subliminale.

 

1.10   RISPOSTE FISIOLOGICHE ED EMOTIVE AI FEROMONI

1.10.1 INTRODUZIONE

E’ ormai ben noto come i chemiosegnali giochino un importante ruolo nelle interazioni sociali e nella comunicazione di molte specie animali.

Inoltre, sappiamo come la percezione cosciente possa influenzare l’umore attraverso tutte le modalità sensoriali, come pure si conoscono gli effetti delle percezioni subliminali o preattentive.

Nonostante questo, il ruolo dei chemiosegnali negli esseri umani è stato considerato minimo, dal momento che il comportamento umano è raramente determinato da un singolo segnale e dipende, anzi, fortemente dal contesto sociale; inoltre le risposte individuali all’ambiente possono essere regolate e modulate da una vasta gamma di informazioni.

Per questi motivi, alcuni ricercatori hanno postulato che questo tipo di segnali funzionino, negli esseri umani, più come “modulatori” (review in McClintock, 2000) che come elementi che fanno scattare comportamenti specifici (Jacob et al., 2001; McClintock, 2000; McClintock et al., 2001); del resto, questo effetto modulatore si verifica anche in molti animali (Izard et al., 1983; Signoret, 1976). Si ipotizza cioè che essi abbiano la funzione di modificare il modo in cui un individuo si comporta o reagisce ad una data situazione, influenzando gli stati psicologici come l’umore e l’attenzione e regolando gli input multisensoriali.

Recentemente, molta attenzione è stata data a due steroidi che, isolati dalla pelle umana (Berliner, 1994; Preti et al., 2001), sono stati considerati, da alcuni studiosi, veri e propri feromoni umani, a causa dei loro effetti sesso-specifici sulla superficie dell’organo vomeronasale umano (Monti-Bloch e Grosser, 1991; Jacob et al., 2000); molti studi hanno, inoltre, dimostrato  gli effetti di questi composti su variabili sia fisiologiche che psicologiche (Grosser et al., 2000; Jacob et al., 2001a; 2001b; Jacob e McClintock, 2000; Savic et al., 2001).

Questi steroidi sono il D4,16-androstadien-3-one, che sembra influenzare soltanto le donne, aumentando il potenziale di superficie del VNO di quasi sei volte rispetto alla sostanza di controllo (olio di garofano in propilene glicolico), e il 1,3,5,(10),16-estratetraen-3ol, che sembra invece influenzare solo gli uomini, producendo un incremento di nove volte nel potenziale di superficie del VNO; nessuno dei due è risultato influenzare il potenziale di superficie dell’epitelio olfattivo (Monti-Block e Grosser, 1991). 

Consapevoli del fatto che un cambiamento nel potenziale della superficie epiteliale non è né un potenziale di recettore, né una prova sufficiente per l’esistenza di un sistema vomeronasale umano funzionante, nondimeno questi studi preliminari forniscono uno specifico punto di partenza per fare chiarezza sui meccanismi tuttora sconosciuti di questo tipo di comunicazione.

Gli interrogativi ancora aperti alla base degli studi su questo argomento sono:

-quale sia il ruolo della percezione cosciente nella comunicazione di tipo feromonale, cioè se la presenza o l’assenza di determinati effetti possa essere attribuita o meno alla capacità di individuare i composti che li provocano;

-se gli steroidi considerati feromoni umani abbiano o meno degli effetti sesso-specifici sul comportamento, sullo stato emotivo e sul SNA;

-se gli effetti, eventualmente presenti, sullo stato psicologico siano stereotipati o modulati dal contesto sociale;

-se gli effetti dell’odore corporeo sull’umore possano dipendere dalla produzione ormonale, che varia notevolmente da individuo a individuo in base al sesso, all’età e ad altri fattori;

-se gli effetti dei composti steroidei possano essere in qualche modo dovuti al contesto olfattivo prodotto dai solventi che li veicolano.

 

1.10.2 ALCUNI ESPERIMENTI

Nel 2000, Jacob e McClintock, hanno esposto uomini e donne a 9nmol di androstadienone o di estratetraenolo, mentre misuravano il loro stato psicologico tramite questionari. Dai risultati è emerso che, comparato con il gruppo di controllo, l’umore dei soggetti del gruppo sperimentale era modulato entro 10 minuti dall’iniziale esposizione allo steroide, fino alle 2 ore successive; questo ordine di grandezza è di gran lunga superiore rispetto al tipico periodo di adattamento agli odori.

In altri lavori sperimentali, i medesimi autori hanno dimostrato che i punteggi più alti nel fattore “umore generale” si evidenziavano nel gruppo sperimentale, rispetto al gruppo di controllo, anche quando gli steroidi venivano mascherati da una soluzione dal forte odore e non verbalmente riconosciuti (Jacob e McClintock, 2000; Jacob et al., 2001; McClintock et al. 2001).

Nonostante altri autori avessero in precedenza dimostrato, basandosi su dati elettrofisiologici, che l’androstadienone e l’estratetraenolo possiedono effetti sessualmente stereotipati sullo stato psicologico (Berliner, 1994; Monti-Bloch e Grosser, 1991), questi dati non sono stati confermati.

Quello che sembra invece emergere da questi studi è che, anche se non vengono scatenate specifiche emozioni e cognizioni di tipo sociale, i chemiosegnali possono effettivamente modulare gli stati emotivi; in particolare, l’androstadienone pare favorire, nelle donne, una sensazione di benessere e di attenzione.

-Jacob et al. (2001b) hanno verificato questa ipotesi esaminando gli effetti dell’esposizione a steroidi sul flusso sanguigno cerebrale, visualizzato attraverso la PET (3), durante l’esecuzione di compiti di minitoraggio visivo (Jacob et al., 2001b). E’ stato scoperto che, durante performances di questo tipo, le partecipanti sotto l’esposizione di androstadienone, presentavano una maggiore attività nelle regioni neurologiche associate alla visione, all’emozione e all’attenzione.

Dal momento che questi studi documentano cambiamenti nel tono dell’umore a lungo termine, è possibile che questi stessi segnali abbiano degli effetti altrettanto a lungo termine sul sistema nervoso autonomo: i dati preliminari suggeriscono un aumento del tono simpatico (Monti-Block e Grosser, 1991).  

In studi successivi, è stato però riportato, per quanto riguarda l’androstadienone, un effetto opposto sulle donne, chiamato simpatolitico o parasimpatomimetico (Grosser et al., 2000); l’interpretazione dei dati era supportata dalle misurazioni cardiorespiratore, ma non dalla conduttanza cutanea.(4)

-Nell’esperimento di Jacob e collaboratori (2001), gli autori hanno esaminato, presso il Dipartimento di Psicologia di Chicago, gli effetti dell’applicazione, direttamente sotto il naso, di concentrazioni nanomolari di alcuni steroidi, ipotizzando che il contesto sociale possa determinare se un segnale chimico avrà o meno effetto; hanno inoltre verificato l’ipotesi che questi steroidi abbiano effetti sesso-specifici: l’androstadienone solo sulle donne e l’estratetraenolo solo sugli uomini (Monti-Block e Grosser, 1991; Monti-Block et al., 1994). Gli uomini e le donne del campione sono stati esposti ad entrambi gli steroidi, nel veicolo, e al veicolo da solo, con l’aspettativa che il cambiamento generale positivo precedentemente osservato nei primi venti minuti dall’esposizione, sarebbe stato accompagnato da cambiamenti nel SNA.

Come biomarcatori del tono del sistema simpatico sono stati scelti quelli già usati in studi precedenti: conduttanza cutanea, positivamente correlata col tono del SNS, e la temperatura cutanea, negativamente correlata ad esso. Quest’ultima è stata scelta nonostante in alcune circostanze essa possa essere celata da altri fattori, come variazioni nella temperatura interna o produzione renale di ormoni.

La seconda ipotesi di questo studio era che il contesto sociosperimentale, specificatamente il sesso dello sperimentatore, potesse modificare le risposte dei soggetti ai chemiosegnali. Le funzioni riproduttive dei chemiosegnali nelle altre specie suggeriscono che le differenze in un contesto socialmente rilevante dal punto di vista riproduttivo possano portare a variazioni nelle risposte osservabili. Ovviamente, è da tenere presente che ogni effetto riportato potrebbe essere stato mediato da attributi specifici del tester e non necessariamente dal suo genere.

Il campione era costituito da 44 donne e da 21 uomini, studenti o membri dello staff, con un’età media di 23.7 anni (range 18-48, ds 5.3), tutti non fumatori, senza problemi nasali, con mestruazioni regolari e spontanee, che non facessero uso di contraccettivi orali. La maggior percentuale di soggetti femminili è servita per il bilanciamento della variabilità del ciclo mestruale. L’esperimento consisteva nell’applicazione diretta dello steroide in soluzione sotto il naso, metodo già usato in studi precedenti (Preti et al., 1986; Russel et al., 1980; Stern e McClintock, 1998). Approssimativamente, 35.8 ± 3.3ml di soluzione rimaneva sulla pelle dei soggetti, presentando all’incirca 9nmol di steroide.

Ai soggetti veniva detto che l’intento dello studio, che si divideva in tre sessioni separate tra loro da un giorno, era quello di misurare la variazione nella sensibilità olfattiva nel tempo, per quanto riguarda gli uomini, o durante il ciclo mestruale, per quanto riguarda le donne, e che gli odoranti utilizzati erano comuni composti naturali.

Esso prevedeva la misurazione della temperatura cutanea, della conduttanza cutanea e la somministrazione di due batterie psicologiche, una preliminare per le misure di baseline e una a sei minuti dall’applicazione. Queste batterie comprendevano i questionari utilizzati per stabilire gli effetti soggettivi psicofarmacologici (de Wit e Griffiths, 1991; Fischman e Foltin, 1991): il POMS (Profile of Mood States), l’ARCI (Addiction Research Center Inventory) e il VAS (Visual Analog Scales).

I risultati hanno mostrato come gli steroidi non abbiano effetti sesso-esclusivi: l’androstadienone non influenza solo le donne e l’estratetraenolo non influenza solo gli uomini. Entrambi modulano le risposte autonome dei partecipanti, ma l’androstadienone ha effetti maggiori sia negli uomini che nelle donne rispetto all’estratetraenolo.

Le donne reagiscono ad entrambi gli steroidi con un incremento del tono simpatico: incremento della conduttanza cutanea nelle dita, e diminuzione della temperatura cutanea palmare; gli uomini presentano invece una risposta di innalzamento della temperatura ad entrambi i composti.

Questi cambiamenti sembrano essere associati all’arousal riportata nei questionari. L’elemento più rilevante è che questi componenti hanno un effetto significativo solo in alcuni contesti sociali: le donne rispondono infatti a questi steroidi solo quando il tester è un uomo.

Questo risultato può essere spiegato tenendo presente che il protocollo del test è, di per sé, un processo lievemente aversivo, in cui le donne sperimentano un calo dell’umore positivo e dell’euforia e un incremento dell’umore negativo e dell’irritabilità.

Infatti, non hanno mai incontrato il tester precedentemente, lo studio si svolge in una stanza piccola, ci sono questionari da compilare e il protocollo richiede che lo sperimentatore si avvicini e le tocchi. Inoltre la maggior parte delle donne del campione si trovava nella fase follicolare del ciclo mestruale, che notoriamente aumenta la sensibilità a molti stimoli ambientali.

Sembra dunque esistere un’interazione dinamica tra stimolo ed ambiente: entrambi gli steroidi, infatti, aumentano il tono simpatico e ostacolano la caduta di umore positivo, ma solo se lo sperimentatore è un uomo. Le differenze nel contesto sociosperimentale possono spiegare le differenze nei risultati ottenuti da altri studi (Grosser et al., 2000), in cui le donne manifestavano un decremento nella resistenza cutanea, quindi un incremento della conduttanza, 35 minuti dopo ad una esposizione di 1 secondo all’androstadienone direttamente al VNO destro, e un decremento nella frequenza respiratoria e nella frequenza cardiaca, unita ad un incremento dell’aritmia respiratoria: tutti segnali di un incremento nel tono parasimpatico.

L’interpretazione delle scoperte è stata effettuata, dagli autori, nei termini di interazioni eterosessuali sensibili al contesto. Il fatto che essere testate da un uomo aumenti il tono simpatico nelle donne, suggerisce che questi chemiosegnali steroidei possano giocare anche un ruolo modulatorio nei contesti che aumentano l’attività simpatica del sistema nervoso, come l’aumento della vigilanza, dell’attenzione, dell’arousal, dello stress, dell’ansia e dell’aggressività.

Questa ipotesi potrebbe essere verificata manipolando il contesto sociosperimentale in modo da incrementare l’attività simpatica e determinando se questi steroidi possano modulare questo aumento indipendentemente dalla sua origine.

Inoltre il sesso dello sperimentatore potrebbe non essere la variabile chiave del contesto, quella cioè che media i differenti effetti: gli sperimentatori potrebbero avere, infatti, altri attributi rilevanti, come personalità, etnia, apparenza, ruolo autoritario, odore corporeo, tipo di MHC (5), che potrebbero influenzare le reazioni dei soggetti. Questo aspetto richiede quindi ulteriori ricerche, che chiariscano il ruolo del genere del tester in questo genere di studi.

Dal momento che questi chemiosegnali sterioidei modulano un sistema dinamico, che integra diversi aspetti del comportamento e dello stato psicologico, che a loro volta dipendono da informazioni ambientali e dal contesto, potrebbero esistere marcate differenze individuali negli effetti di questi composti sulla vita quotidiana degli esseri umani.

In realtà, le donne che sperimentano una grossa diminuzione nella temperatura delle mani, come risposta all’androstadienone, la manifestano anche con l’estratetraenolo.

Al contrario, alcune donne hanno risposte non individuabili ad entrambi, anche in presenza di uno sperimentatore uomo. Allo stesso modo, nonostante la risposta tipica a queste componenti sia positiva, alcuni individui ne presentano una di segno inverso.

Questo studio non ha fornito campioni sufficientemente ampi delle minoranze etniche per verificare eventuali differenze di effetti dovute all’etnia.

E’ inoltre importante riconoscere che questi steroidi producono i loro effetti nel contesto olfattivo creato dal solvente che li veicola, ma è stato dimostrato (Jacob e McClintock, 2000) che l’androstadienone produce effetti psicologici con o senza un forte odore di mascheramento.

-Nel lavoro sperimentale di Chen e Haviland-Jones (2000), del Monell Chemical Senses Center di Philadelphia, trenta volontari sono stati suddivisi in sei differenti gruppi, in base al sesso e alle fasce di età: ragazze e ragazzi, giovani donne e giovani uomini, donne anziane e uomini anziani. A questi soggetti veniva richiesto di non usare profumi o deodoranti, di non mangiare cibi dal forte odore e di lavarsi con detergenti non profumati per quattro giorni. Durante questo periodo di tempo, i soggetti dovevano tenere una garza sotto le ascelle, in modo che essa assorbisse gli odori corporei prodotti.

Dall’altro lato, più di trecento studenti universitari dovevano compilare un questionario sull’umore prima e dopo aver annusato le garze.

I risultati hanno mostrato come i soggetti che avevano annusato le garze indossate dalle donne anziane rispondessero significativamente con un miglioramento dell’umore; al contrario, l’odore di giovani uomini è risultato avere un effetto depressivo.

L’ipotesi degli autori suggerisce che gli ormoni dei giovani uomini possano, attraverso l’odore corporeo, agire come un segnale di aggressione.

Quindi i cambiamenti ormonali che avvengono in età avanzata potrebbero spiegare l’effetto contrario prodotto dall’odore delle persone anziane.

-Nello studio di Lundström et al. (2003), gli autori si sono proposti di investigare i potenziali effetti dell’androstadienone sull’umore delle donne e, in secondo luogo, se la presenza o l’assenza di questi effetti sull’umore possa essere attribuita alla capacità o meno di individuare l’androstadienone.

Per la prima parte dell’esperimento, il campione era formato da 38 donne, con un’età media di 24.4 anni (deviazione standard ±4.8), in buona salute, non fumatrici, senza storie di problemi nasali, con mestruazioni spontanee e regolari e che non assumevano contraccettivi orali da almeno sei mesi.

Il test di discriminazione consisteva in nove prove, in cui alle partecipanti venivano presentate tre ampolle in ordine casuale, tra le quali dovevano individure quella contanente l’odore diverso. Nella sessione sperimentale, una delle tre ampolle conteneva 250mM di androstadienone in olio minerale con 1% di eugenolo per mascherarne l’odore, la altre due contenevano 15ml di soluzione di controllo;  nella sessione di controllo, tutte le tre ampolle contenevano 15ml di soluzione di controllo. L’ordine di trattamento era controbilanciato; è da tenere presente che l’olio minerale può alterare, se utilizzato come soluzione veicolo, la percezione olfattiva degli odoranti (Pierce et al., 1996).

Il tono dell’umore veniva valutato tramite due test psicometrici: il VAS, Visual Analog Scale (Mackay, 1980), in cui si attribuisce un punteggio che va da “per niente” a “estremamente” ad otto aggettivi, e lo STAI, State Trait Anxiety Inventory (Spielberg et al., 1970), in cui viene valutata l’ansia di tratto e l’ansia di stato. L’esposizione allo steroide avveniva tramite l’applicazione di una garza, imbevuta con 3ml di soluzione, sotto il naso, metodologia già utilizzata in altri studi (Jacob et al., 2001a; Jacob e McClintock, 2000; Preti et al., 1986). Dopo un’attesa di venti minuti, in cui alle partecipanti veniva mostrato un film, veniva somministrata la seconda batteria di test. Per la seconda parte dello studio, il campione era formato da 40 donne, con un’età madia di 26.7 anni (deviazione standard ±5.7)

I risultati, per quanto riguarda la prima parte dell’esperimento, hanno mostrato un aumento della sensazione di concentrazione nei soggetti sperimentali; non si sono verificati effetti, nè positivi nè negativi sull’ansia. I dati non risultano essere significativamente diversi dal caso, non esiste cioè una capacità di discriminazione in nessuno dei soggetti a parte due donne che, nel test di discriminazione hanno ottenuto 8/9 e 9/9 risposte esatte, rispettivamente, e che hanno dichiarato che l’odore target era simile al sudore.

Per quanto riguarda invece la seconda parte dell’esperimento, si è verificato, come unico cambiamento, un decremento nell’ansia di tratto. La differenza è, in questo caso, significativamente maggiore del caso, sembra cioè che esista una capacità discriminativa. Nel momento in cui, però, venivano rimosse dal conteggio le quattro donne che distinguevano l’odore dello steroide perchè simile al sudore o all’urina, i dati non erano statisticamente significativi.

In conclusione, gli effetti non sembrano essere ristretti ad una specifica fase del ciclo mestruale; la maggior parte delle partecipanti non è infatti in grado di discriminare tra lo steroide e la soluzione di controllo, lo steroide non è cioè percepito consapevolmente. Si è, ad ogni modo, evidenziata la presenza di alcuni soggetti ipersensibili, che dimostra un’alta variabilità nella popolazione, sia essa con una distribuzione asimmetrica positiva o bimodale (Wysocki e Beauchamp, 1991). (6)

(3) Positron Emission Tomography; è un sistema di visualizzazione funzionale, che fornisce cioè un quadro dinamico dello stato funzionale del cervello

(4) La conduttanza cutanea riflette il deflusso simpatico esclusivamente perchè le ghiandole sudoripare esocrine sono innervate solo dal sistema simpatico, e non dal parasimpatico, e non sono influenzate da variazioni ormonali (Hugdahl, 1995).

(5) Mayor Histocompatibility Complex; vedi capitolo 3.1, parte seconda.

(6) In statistica, la distribuzione si dice asimmetrica positiva (o destra) quando rappresenta un accumulo di probabilità nell’estremità inferiore rispetto a quella superiore, quando cioè il ramo destro è più lungo di quello sinistro.

Si dice bimodale la curva, o rappresentazione grafica di una seriazione, in cui la maggior frequenza dei casi si addensa in corrispondenza di due misure del carattere in base al quale i dati sono stati raggruppati.

 

1.10.3 CONCLUSIONI

Per quanto riguarda il ruolo della percezione cosciente nella comunicazione feromonale, questi studi si sono rivelati utili per chiarire in che modo un’informazione multisensoriale possa essere processata anche sotto il livello cosciente; gli steroidi non vengono infatti discriminati coscientemente dal controllo, se vengono presentati in piccole quantità (meno di 2mg sotto il naso) e mascherati dall’essenza di garofano.

E’ importante ricordare, inoltre, che i loro effetti funzionali non ne richiedono il riconoscimento o la classificazione come odori; per questo motivo, essi potrebbero agire attraverso un assorbimento dalla pelle o dalle mucose, piuttosto che con un meccanismo di tipo neurale e chemio-sensitivo (Gopinath et al., 1978; Ranade, 1991).

Nonostante sia stato dimostrato che l’applicazione di composti steroidei provochi reazioni fisiologiche ed emotive, non esistono prove sufficienti per qualificare questi effetti come feromonali.

Esperimenti futuri dovrebbero chiarire il ruolo del contesto odoroso negli effetti, inconsapevoli, dei chemiosegnali steroidei sull’umore e sulla psicologia; studi di questo tipo dovrebbero variare il tipo di mascheramento, il solvente utilizzato e la concentrazione degli steroidi stessi.

 

1.11   FEROMONI E COMPORTAMENTI SOCIO-SESSUALI

1.11.1  INTRODUZIONE

 I lavori sperimentali su questo argomento hanno cercato di fare chiarezza sui seguenti punti:

-se le sostanze chimiche candidate ad essere considerate feromoni abbiano o meno la capacità di modificare qualche aspetto delle relazioni interpersonali;

-se le formule feromonali, già presenti sul mercato, possano effettivamente influenzare la motivazione sessuale e la capacità di attrarre individui del sesso opposto;

-se gli uomini siano in grado di individuare il periodo di maggiore fertilità delle donne e quali strategie evolutive siano alla base di questa eventuale capacità.

 

1.11.2  ALCUNI ESPERIMENTI

>Nello studio di Cowley e Brooksbank (1991), 76 studenti volontari di psicologia e di biologia dell’Università di Londra, 38 ragazzi con età media di 19.9 anni (range 18-30) e 38 ragazze con età media di 20.9 anni (range 18-42), sono stati assegnati a tre diversi gruppi di trattamento: controllo, androstenolo, acidi grassi.

Agli studenti veniva chiesto di indossare una collana ininterrottamente dalle 16.30 di un giorno fino alle 09:30 del giorno successivo; veniva loro detto che le collane erano impregnate di sostanze diverse, tutte innocue, sulla cui natura sarebbero stati informati alla fine dell’esperimento.

Le collane erano costituite da tubicini di plastica con due file di fessure; al loro interno erano posizionati dei tamponi di cotone, impregnati delle diverse sostanze il giorno prima di essere consegnate ai soggetti. Le sostanze utilizzate erano le seguenti:

-androstenolo: 5a-16-androsten-3a-ol, 0.25ml di soluzione 1mg/ml in cloroformio;

-acidi grassi: acido acetico, acido propanoico, acido metilpropanoico, acido butanoico, acido metilbutanoico e acido metilpentanoico, proporzioni 35:10:0.9:2.4:2.3:0.3, 0.25ml di soluzione 1% in cloroformio;

-controllo: 0.25ml di cloroformio.

Dopo aver riconsegnato le collane, agli studenti venivano consegnati dei libretti contenenti un diagramma a cerchio, un questionario su loro stessi, sulle loro abitudini quotidiane e un questionario sull’umore. La consegna era quella di ricordare tutte le persone con cui avevano parlato da quando si erano alzati a quando gli era stato consegnato il libretto e di stimare il tempo, in minuti, delle conversazioni con queste persone, riportandolo sul diagramma che gli era stato consegnato, insieme alla stima della profondità dello scambio, al sesso dell’interlocutore e da chi era partita la conversazione. Dai risultati sono emerse marcate differenze tra i due sessi per quanto riguarda il numero e la profondità degli scambi e una tendenza alla significatività per quanto riguarda la durata. Le differenze maggiori sono state riscontrate nel numero complessivo di scambi avvenuti con maschi e nel numero di scambi con maschi iniziati dal soggetto; in entrambi i casi il numero era inferiore per le donne rispetto agli uomini.

I risultati mostrarono, inoltre, come non ci fossero differenze tra uomini e donne nei loro scambi con le persone in generale, cioè quando le variabili trattamento e sesso dell’interlocutore venivano rimosse. Sembra dunque che l’effetto maggiore si sia verificato nell’interazione sessoXtrattamento.

Per i soggetti maschi, né il numero, né la durata, né la profondità degli scambi sono stati modificati dal trattamento; non ci sono state, inoltre, differenze significative nella direzione degli scambi stessi. Per i soggetti femmine, sono emerse differenze, negli scambi con uomini, tra il gruppo androstenolo e il gruppo di controllo, ma non tra il gruppo acidi grassi e il gruppo di controllo; negli scambi con donne non sono state riscontrate, invece, differenze.

Le differenze marcate registrate nelle interazioni con gli uomini, anche se associate principalmente all’esposizione all’androstenolo, non sono completamente assenti nel gruppo acidi grassi: l’androstenolo aumentava il punteggio in tutti i casi in cui una donna interagiva con un uomo, mentre gli acidi grassi, pur avendo un effetto che si muove nella stessa direzione, non raggiunge un livello di significatività: le donne esposte agli acidi grassi non mostrano, cioè, effetti del trattamento.

E’ importante tener presente che, in questo studio, molte variabili non sono state controllate, ma il fatto che siano state evidenziate differenze in relazione al sesso e al trattamento durante interazioni tra individui in circostanze di vita reale, forniscono ai risultati un significato sociale. I punteggi riguardavano infatti il numero, la profondità, la durata e la direzione degli scambi durante le prime due o tre ore dopo l’esposizione.

I risultati hanno mostrato come, a prescindere dal trattamento, gli uomini siano maggiormente attivi dal punto di vista sociale, nei termini di interazioni con altri uomini e, in misura minore, con donne, rispetto alle donne stesse.

Dall’altro lato, le donne esposte all’androstenolo hanno mostrato punteggi più alti in tutti i cinque parametri di scambio con uomini; i due parametri derivati, specialmente profonditàXdurata, sembrano aumentare ulteriormente questa differenza.

Da questo esperimento, non risulta comunque chiaro se il cambiamento che si è verificato nel comportamento delle donne nei confronti degli uomini sia dovuto al fatto che si sentano maggiormente attraenti o maggiormente attratte.

>McCoy e Pitino (2002) hanno condotto uno studio, a doppio cieco e con gruppo di controllo, su un campione di 36 donne con un’età media di 27.8 anni (range 19-48), per verificare se l’aggiunta di feromoni al profumo delle partecipanti poteva modificarne alcuni comportamenti sociosessuali.

I criteri per la scelta dei soggetti erano che fossero donne eterosessuali, regolarmente mestruate, non sposate o conviventi con un uomo, in buona salute e che non assumessero contraccettivi orali. Un altro criterio per l’esclusione dall’esperimento era un punteggio maggiore di due deviazioni standard nell’EPQ-R (Eysenck Personality Inventory), che misura le abilità sociali.

La formula del feromone utilizzato era quella di Athena Pheromone 10:13, attualmente in commercio, che deriva da recenti lavori sulle secrezioni ascellari di donne fertili, sessualmente attive ed eterosessuali portati avanti dall’Athena Institute for Woman’s Wellness, di Chester Spring.

Al gruppo sperimentale, formato da 19 donne, venivano consegnati 55ml del loro profumo preferito addizionato con il feromone in SD40 alcohol; al gruppo di controllo, formato da 17 donne, venivano invece consegnati 55ml del loro profumo preferito addizionati di alcol SD40 soltanto.

I due gruppi non differivano per età, peso, indice di massa corporea, status, etnia, uso del profumo, percezione di effetti positivi e lunghezza del ciclo mestruale. Le donne del gruppo di controllo erano invece significativamente più alte rispetto alle donne del gruppo sperimentale.

La consegna era quella di utilizzare normalmente il profumo: due o tre tocchi sotto il naso, sulla mascella e dietro le orecchie, e quella di registrare sette comportamenti sociosessuali:

-rapporti sessuali;

-dormire con un partner;

-appuntamenti formali;

-appuntamenti informali;

-petting, baci;

-approcci maschili;

-masturbazione.

I dati venivano riportati settimanalmente, durante l’arco di tre cicli mestruali consecutivi, iniziando la registrazione l’ottavo giorno di ogni ciclo. L’esperimento comprendeva un periodo di baseline di due settimane nel primo ciclo, e un periodo sperimentale di sei settimane nei due cicli successivi.

L’ipotesi principale era quella che, rispetto al gruppo di controllo, il gruppo sperimentale, esposto al feromone, avrebbe mostrato un incremento nei comportamenti sociosessuali, rispetto alla baseline.

I risultati hanno evidenziato che, eccetto per “approcci maschili”, fra i due gruppi non esistevano differenze durante la baseline; durante il periodo sperimentale sono invece emersi aumenti significativi nella frequenza di “rapporti sessuali”, “dormire con un partner”, “appuntamenti formali” e “petting, baci” nel 74% del gruppo sperimentale, rispetto al 23% del gruppo di controllo, ma non in “appuntamenti informali” e “masturbazione”. Per quanto riguarda quest’ultimo comportamento, visto come un indicatore della motivazione sessuale, il basso incremento, del 27% in entrambi i gruppi, fa pensare che il feromone non influenzi la motivazione sessuale in sé.

Inoltre, non si sono verificate alterazioni nella lunghezza del ciclo mestruale, anche se studi precedenti avevano dimostrato il contrario; probabilmente, queste differenze nei risultati sono dovute alla diversa composizione delle sostanze utilizzate; non tutti gli estratti del sudore ascellare possono, cioè, influenzare l’andamento del ciclo mestruale.

La conclusione sembra dunque essere che questa formula, topicamente applicata, aumenti la capacità attrattiva delle donne nei confronti degli uomini. Sarebbe utile verificare, in studi futuri, se l’aumento del periodo sperimentale di esposizione possa aumentare gli effetti o meno.  

>Lo studio, portato avanti da alcuni ricercatori del dipartimento di Psicologia e di Biologia dell’University of New Mexico (Gangestad et al., 2002), è focalizzato sui cambiamenti che avvengono, nell’arco del ciclo mestruale, negli interessi sessuali delle donne, sia nei confronti dei propri partner principali, che nei confronti di altri uomini e sulle diverse risposte comportamentali degli uomini a questi cambiamenti.

A 51 donne, non facenti uso di contraccettivi orali e con un’età media di 19.6 anni, fu chiesto di completare due questionari durante il loro periodo fertile, appena prima dell’ovulazione, e durante  il loro periodo non fertile, nella fase luteinica; la fertilità delle donne veniva controllata mediante un rilevatore di ovulazione, disponibile in commercio.

Il primo questionario chiedeva alle partecipanti di giudicare quanto erano state impegnate in ognuno dei comportamenti o sensazioni nei 2 giorni precedenti; le domande iniziali riguardavano una serie di stati d’animo, comportamenti e relazioni interpersonali che non sarebbero dovuti cambiare durante il ciclo mestruale, mentre le ultime riguardavano comportamenti sessuali, sentimenti, attrazioni e fantasie.

I risultati hanno mostrato che durante il periodo fertile del loro ciclo, le donne riportavano un maggiore interesse sessuale per partners diversi da quello principale e un maggior numero di fantasie su di essi; non sono stati invece rilevati cambiamenti nell’interesse sessuale per il partner principale.

Il secondo questionario, invece, chiedeva alle donne di valutare il grado con cui, in quegli stessi due giorni, i loro partners principali avevano comportamenti riconducibili ad un incremento di attenzione, come vigilanza (ad esempio telefonate inaspettate), monopolizzazione (ad esempio spendendo più tempo libero con lei) o corteggiamento (ad esempio regali inaspettati).

I risultati hanno mostrato che i partners maschili erano effettivamente più attenti e più possessivi durante il periodo dell’ovulazione delle loro donne.

Lo studio in questione rafforza l’ipotesi che sia utile guardare alle sfumature del comportamento umano nelle relazioni sentimentali, come al risultato di comportamenti adattivi e di conflitti di interessi di origine evolutiva.

L’accresciuto interesse sessuale delle donne per partners diversi da quello principale può essere spiegato attraverso nozioni specifiche di selezione intersessuale; le femmine, infatti, possono talvolta beneficiare, dal punto di vista riproduttivo, dall’avere diversi partners, ad esempio aumentando la qualità e la diversità genetica della prole.

La controstrategia maschile è dunque finalizzata a ridurre la probabilità di investire le proprie risorse in cure di figli non propri.

Non è chiaro, ad ogni modo,  come gli uomini possano individuare il periodo di rischio e quali mezzi utilizzino.

>Nello studio del 1998, Cutler et al. si sono proposti di verificare gli effetti dei feromoni maschili sia su alcuni comportamenti sociosessuali degli uomini, sia sulle risposte sessuali delle donne, e le percezioni soggettive di questi effetti.

Il campione era formato da soggetti maschi, eterosessuali, bianchi, con un’ età compresa tra i 25 e i 42 anni, in buona salute, di media bellezza e dall’aspetto ordinato, che si radevano regolarmente e con adeguate abilità sociali. Quest’ultimo aspetto veniva misurato tramite l’EPI-Q (Eysenck Personality Inventory; i soggetti con punteggi maggiori di due deviazioni standard venivano esclusi dall’esperimento.

I 38 uomini venivano suddivisi in un gruppo sperimentale, 17 soggetti, e in un gruppo di controllo, 21 soggetti; al loro dopobarba veniva aggiunto il feromone in etanolo per il primo gruppo e solo etanolo per il secondo. Il feromone utilizzato era una versione sintetica di quello naturalmente secreto dagli uomini, come descritto in lavori precedenti (Preti et al., 1987). I soggetti venivano inoltre suddivisi, in base al loro status iniziale, in quattro gruppi: uomini sposati, uomini con un rapporto stabile, uomini single che avevano incontri occasionali, uomini single.

La consegna comprendeva l’uso del proprio dopobarba almeno tre volte la settimana e la registrazione giornaliera di sei comportamenti:

-petting, comportamenti affettuosi, baci;

-appuntamenti formali (prestabiliti);

-appuntamenti informali (non stabiliti prima del giorno);

-dormire con una partner;

-rapporti sessuali;

-masturbazione.

I dati venivano faxati settimanalmente per un periodo di otto settimane, che comprendeva un periodo di baseline di due settimane e un periodo sperimentale di sei settimane; i soggetti dovevano inoltre riportare settimanalmente eventuali cambiamenti notati nelle loro esperienze con le donne.

Dai risultati è emerso che il 74% degli uomini che hanno usato il feromone ha sperimentato un incremento in almeno uno dei sei comportamenti sociosessuali, rispetto al 38% del gruppo di controllo che ha usato il placebo. Il criterio per giudicare gli incrementi dei comportamenti era che la media del comportamento durante il periodo sperimentale fosse superiore alla media del comportamento durante il periodo di baseline e che il punteggio più alto durante la baseline fosse inferiore ad almeno un punteggio sperimentale.

Su 6 comportamenti registrati, 2 hanno subito un incremento significativo (rapporti sessuali e dormire con una partner), 2 hanno subito un incremento non significativo, ma tendente alla significatività (petting e appuntamenti informali) e gli altri due non hanno subito modifiche (masturbazione e appuntamenti formali); inoltre è emersa una generale percezione positiva, anche se non sostanziale.

Dal momento che l’incremento maggiore si è verificato nei comportamenti in cui la volontà del partner femminile gioca un ruolo cruciale, l’ipotesi proposta dagli autori è che il feromone aumenti il sex-appeal degli uomini nei confronti delle donne, ma non la motivazione sessuale, come dimostrato dal non incremento della masturbazione.

In studi futuri sarebbe interessante chiarire il ruolo delle relazioni stabili in questo tipo di processi.

>La stessa metodologia sperimentale è stata utilizzata nel lavoro di Friebely e Rako (2004), effettuato su quarantaquattro donne in menopausa, con un’età media di 56.9 anni, che non avevano subito né isterectomia né ovariectomia. Come nell’esperimento già citato, i dati sono stati raccolti per otto settimane, che comprendevano due settimane di baseline e sei settimane sperimentali.

I risultati hanno mostrato un incremento in uno dei comportamenti registrati (petting) nel 68 % del gruppo sperimentale, significativamente maggiore rispetto al 41 % del gruppo di controllo. Gli altri cinque comportamenti non hanno invece subito incrementi; questo risultato potrebbe essere spiegato dal fatto che durante la menopausa ci sia una effettiva minor disponibilità di partners e un generale minor interesse nei rapporti sessuali. Gli autori hanno ipotizzato inoltre che questi risultati modesti siano dovuti al fatto che le donne in menopausa possano, probabilmente, aver bisogno di un periodo sperimentale più lungo.

>Grammer e Jütte, nel 1997, si proposero di verificare se gli uomini siano o meno in grado di riconoscere, tramite stimoli olfattivi, il periodo di maggiore fertilità delle donne e se, in caso positivo, si verifichi un cambiamento comportamentale o fisiologico.

Per questo esperimento sono state utilizzate “copuline” sintetiche simili a quelle naturalmente prodotte in tre differenti periodi del ciclo (mestruale, ovulatorio e premestruale), che sono state confrontate fra di loro e con il controllo (acqua). (7)

I 106 uomini del campione dovevano esprimere il loro giudizio su foto e registrazioni di voci femminili, durante l’inalazione delle “copuline”; inoltre veniva loro prelevato un campione di saliva prima della sessione sperimentale e dopo 20 minuti.

Per quanti riguarda gli effetti sui giudizi, i risultati non hanno mostrato differenze significative tra i tre tipi di copuline, che però hanno avuto tutte un effetto maggiore, rispetto al controllo, nel migliorare il giudizio. L’influenza di queste sostanze si è rilevata essere graduata e non omogenea: una donna di per sé già attraente guadagnava, cioè, meno rispetto ad una non attraente.

I livelli di testosterone, che sembra aumentare l’attenzione selettiva per gli stimoli erotici, sono aumentati del 150 % nel caso della copulina del periodo ovulatorio, sono diminuiti del caso del controllo e sono rimasti invariati negli altri due casi.

Le conclusioni che si possono trarre da questo studio sono che:

– l’ovulazione delle donne sembra essere nascosta agli uomini; il vantaggio per le femmine non risulta chiaro, ma secondo alcuni autori potrebbe essere il non doversi difendere da maschi intrusivi e indesiderati (Benshoof e Thornhill, 1979);

– l’odore delle copuline sembra rendere meno importante, per gli uomini, l’informazione visiva;

– le copuline sembrano essere veri feromoni, dal momento che il loro effetto è indipendente dalla piacevolezza del loro odore: esse hanno infatti un odore piuttosto pungente, soprattutto in alte concentrazioni.

(7) vedi capitoli 1.3 e 1.7, parte seconda.

 

1.11.3  CONCLUSIONI

Le conclusioni che possiamo trarre da questi esperimenti sono:

-l’androstenolo sembra influenzare la modalità di interazione delle donne nei confronti degli uomini; in particolare, sembra aumentare la profondità e la durata degli scambi (Cowley e Brooksbank, 1991);

-le copuline provenienti da donne in fase periovulatoria mostrano, come effetto, un aumento del testosterone negli uomini esposti ad esse, e un miglioramento dei loro giudizi su ritratti di donne (Grammer e Jütte, 1997);

-l’applicazione topica di formule feromonali non sembra influenzare, nè negli uomini, nè nelle donne, la motivazione sessuale in sè; sembra invece aumentare la frequenza di alcuni comportamenti sessuali considerati indici della capacità attrattiva (McCoy e Pitino, 2002; Cutler et al., 1998);

-le donne, durante il periodo di maggiore fertilità del loro ciclo mestruale, mostrano un incremento dell’interesse sessuale nei confronti di partners diversi da quello principale (Gangestad et al., 2002).

Per quanto riguarda le sostanze utilizzate, nel corso degli anni molti studi hanno fornito prove degli effetti di molti di questi composti anche negli esseri umani, ma il ruolo dei feromoni nel comportamento socio-sessuale umano non è tuttora chiaro, anche perché molte delle tecniche utilizzate in questo genere di studi sono di tipo esplorativo.

Ad ogni modo, la storia filogenetica e ontogenetica degli esseri umani suggerisce che ci sia comunque molto da guadagnare da studi di tipo comparativo, modellati in base a lavori riguardanti altre specie. La diversità tassonomica di aspetti strutturali e funzionali fa sì che perseveri tuttora una riluttanza ad applicare gli stessi principi a specie diverse, ma la conservazione di elementi biochimici attraverso le diverse specie e attraverso l’evoluzione dei sistemi esocrino, endocrino e nervoso, suggerisce il valore di un approccio di tipo comparativo, anche in relazione agli aspetti comportamentali della vita umana.

Con la conservazione delle componenti strutturali e funzionali del sistema olfattivo, molti studiosi si aspettano infatti di vedere un mantenimento, attraverso la pressione della selezione, dei meccanismi molecolari coinvolti nella codifica e nella trasduzione di queste particolari sostanze.

 

1.12   FEROMONI E DIMORFISMO SESSUALE

Le differenze che esistono tra uomini e donne nel riconoscimento olfattivo del sé sono da tempo ben documentate. In particolare, le donne sembrano possedere una maggiore sensibilità: ad esempio, il 59% delle donne, ma solo il 6% degli uomini, è stato in grado di riconoscere il proprio odore ascellare, scegliendolo da bendati tra diversi campioni presentati. Rimane comunque incerto se queste differenze di genere nella percezione possano o meno influenzare la capacità di rispondere alle formule feromonali, dal momento che esse sono inodori.

Le ricerche sui feromoni umani si sono recentemente concentrate sugli effetti dello steroide 4,16-androstadien-3-one (androstadienone). Sembra, infatti, che esso abbia effetti sesso-specifici sul potenziale di superficie del VNO: solo nelle donne ne aumenta il potenziale di circa sei volte rispetto al controllo (Monti-Block e Grosser, 1991). Bensafi et al. (2003) hanno dimostrato come l’androstadienone aumenti l’arousal fisiologica nelle donne e la diminuisca invece negli uomini.

Una delle ipotesi proposte a questo proposito è quella secondo la quale l’influenza del feromone si differenzi da individuo a individuo, a seconda della situazione contestuale (Jacob et al, 2001). Savic et al. (2001) hanno dimostrato, attraverso l’utilizzo della PET, che l’androstadienone produce risposte neurali sessualmente dimorfiche. Nel suo studio, in cui i partecipanti annusavano quantità di androstadienone sopra la soglia, le donne hanno mostrato un più alto livello di flusso sanguigno nelle regioni ipotalamiche, ma non nelle regioni tipicamente attivate durante la stimolazione olfattiva; al contrario, gli uomini hanno mostrato un più alto livello di flusso soltanto nelle regioni correlate alla stimolazione olfattiva.

Queste chiare differenze sessuali nell’attivazione metabolica del cervello raramente sono state riscontrate nelle ricerche sul sistema olfattivo.

Esistono, inoltre, prove che l’esposizione all’androstadienone può modificare il tono del sistema nervoso autonomo in maniera differente negli uomini e nelle donne. Jacob et al. (2001a) hanno dimostrato che, attraverso l’esposizione a quantità non soggettivamente discriminabili di androstadienone, il SNA reagisce in una direzione sesso-specifica: negli uomini provoca un aumento della temperatura cutanea, ma non della conduttanza; nelle donne un decremento della temperatura cutanea e un aumento della conduttanza, elementi tipici di una crescente attivazione del SNA.

Per quanto riguarda la presenza di androstenone nelle secrezioni ascellari, il fatto che nel sudore maschile esso raggiunga quantità molto superiori  che in quelle femminili riflette i livelli sessualmente dimorfici di androgeni nel sangue. Queste differenze possono essere spiegate inoltre dalla diversa colonizzazione dei microorganismi nei due sessi, essendo l’androstenone un metabolita prodotto da batteri; Jackman e Noble (1983) hanno dimostrato come negli uomini la presenza dominante sia quella dei batteri Corynebacteria ssp, mentre nelle donne sia quella dei batteri Micrococcaceae.

 

1.13   FEROMONI E ORMONI

Le alterazioni, feromonalmente indotte, nel livello pulsatile di GnRH (ormone di rilascio delle gonadotropine) presuppongono un collegamento tra olfatto, neurotrasmissione, risposte autonomiche, steroidogenesi e cambiamenti comportamentali.

La letteratura multidisciplinare delinea, a questo proposito, un modello neuroendocrino che cerca di collegare la “natura” e la “cultura” della sessualità umana e sostiene le seguenti sequenze neuroendocrine:

-la migrazione prenatale dei neuroni secretori di GnRH stabilisce substrati neurali che sembrano rendere il sistema olfattivo umano in grado di esibire una specificità sessualmente dimorfica nell’abilità di trasdurre gli stimoli chimici;

-i feromoni umani sembrano influenzare il livello pulsatile di GnRH e, di conseguenza, la secrezione di gonadotropine.

L’influenza feromonale che avviene, nei mammiferi, sul livello intracerebrale di GnRH (Meredith e Fernandez-Fewell, 1994) sembra essere geneticamente determinata (Guthrie et al., 1993) e sembra correlare positivamente con l’attività cellulare collegata, nel sistema nervoso, ai cambiamenti comportamentali (Sagar et al., 1988).

Il GnRH gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo sessuale:

-le cellule dell’area preottica-settale del cervello secernono GnRH direttamente nel sistema portale ipotalamico-ipofisario verso la pituitaria anteriore;

-il rilascio di GnRH provoca il rilascio, da parte della pituitaria anteriore, di gonadotropine, che si immettono nella circolazione sistemica;

-le gonadotropine, insieme all’LH (ormone luteinizzante) e al FSH (ormone follicolo stimolante), stimolano la produzione e la secrezione degli ormoni steroidei (Knobil, 1990; Grumbach e Styne, 1992).

Gli ormoni steroidei principali sono il testosterone (T), l’androgeno predominante nell’uomo, e l’estradiolo (E), l’estrogeno predominante nelle donne; essi mantengono le caratteristiche sessuali secondarie e regolano, attraverso un sistema di feedback negativo, il rilascio di gonadotropine. T ed E modulano, inoltre, l’apoptosi neuronale nei mammiferi (Nordeen et al., 1985), la sinaptogenesi e la sinaptolisi (Arai et al., 1986).

Il collegamento ontogenetico tra olfatto ed ormoni diventa evidente nei pazienti affetti dalla sindrome di Kallmann (ipogonadismo ipogonadotrofico congenito associato ad anosmia o iposmia), legata al cromosoma X. Essi mostrano, infatti, gonadi sottosviluppate, assenza completa delle caratteristiche sessuali secondarie e sono anosmici, non sono cioè in grado di percepire gli odori. Questa sindrome è il risultato di uno sviluppo incompleto del bulbo olfattivo nell’embrione, che non permette la migrazione delle cellule secretrici di GnRH dal placode olfattivo all’ipotalamo e, quindi, un rilascio sufficiente di GnRH.

Ad ogni modo, nonostante esistano prove sufficienti per un’attivazione indiretta, da parte dei feromoni, dei neuroni secretori di GnRH (Rubin et al., 1995), questo meccanismo di influenza non è completamente definito.

Segue in “Parte seconda. Capitolo 2: I feromoni nell’ottica della teoria della selezione sessuale”

Il presente articolo è riproducibile, in parte o in toto, esclusivamente citando autore e fonte

(Silvia Noris – www.silvianoris.it)

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