Per leggere l’intero lavoro “Il ruolo della comunicazione chimica nella sessualità umana” consultate l’indice della mia tesi di laurea. Segue da “Parte seconda. Capitolo 1: I feromoni”
PARTE SECONDA. CAPITOLO 2: I FEROMONI NELL'OTTICA DELLA SELEZIONE SESSUALE
2.1 INTRODUZIONE E CENNI STORICI
Ne ‘L’origine delle specie’ di Darwin, le caratteristiche e le differenze proprie di ogni specie vengono considerate il risultato di un processo di selezione naturale, nel corso del quale chi è più efficiente sopravvive e si riproduce con maggiori probabilità.
Questa teoria non spiega, però, né lo spreco presente nelle esibizioni che precedono la riproduzione sessuale, né come l’investimento in tali esibizioni possa accrescere l’efficienza individuale.
Di conseguenza Darwin ipotizzò l’esistenza di due tipi di selezione:
- la selezione naturale, che rende ogni animale bene adatto al proprio ambiente;
- la selezione sessuale, che permette ad un animale di competere all’interno della propria specie per il successo riproduttivo.
In seguito, egli inserì nella categoria della selezione sessuale la lotta tra rivali per l’accoppiamento, i caratteri che dissuadono gli individui dello stesso sesso e quelli capaci di attirare i potenziali partners.
Il fatto che i segnali bizzarri attirino i partners e dissuadano i rivali era inizialmente per lui sufficiente a giustificarne l’investimento energetico, ma successivamente si rese conto che la sua teoria non poteva affatto spiegare gli stravaganti tratti maschili presenti in molte specie, come la coda variopinta nel pavone, dal momento che questi tratti, essendo particolarmente dispendiosi, diminuiscono le capacità di sopravvivenza.
Egli ipotizzò che, nelle specie a riproduzione sessuale, qualsiasi tratto ereditabile, in grado di aiutare nella competizione per l’accoppiamento (ad esempio doni e ornamenti per attrarre i partners o armi per allontanare i rivali), tende a diffondersi nella specie, nonostante possa in qualche modo compromettere la capacità di sopravvivenza.
All’interno del processo di selezione sessuale, Darwin distinse tra competizione maschile per il parner femminile, che tipicamente dà origine ad armi, come le corna o l’aumento di taglia, e scelta femminile del partner maschile, che dà invece origine a doni e ornamenti; in effetti questi due aspetti non sono altro che le due facce della stessa medaglia, dato che la scelta da parte di un sesso implica necessariamente la competizione nell’altro sesso.
Le idee di Darwin posero le femmine delle specie a riproduzione sessuale in una posizione estremamente potente all’interno del processo evolutivo e per decenni queste teorie furono criticate e scartate; la competizione maschile veniva considerata come una sottoclasse della selezione naturale e gli ornamenti sessuali come intimidazioni rivolte ai rivali maschi, o segni per il riconoscimento della specie, per evitare cioè l’accoppiamento tra specie diverse (Huxley, 1938; Cott, 1940).
Attualmente, dopo decenni in cui le scienze sociali si sono sviluppate senza riconoscere il ruolo che la selezione e la competizione sessuale hanno giocato e giocano nell’evoluzione di molti aspetti della vita umana, la teoria della selezione sessuale esplora i diversi criteri per la scelta del partner.
Le preferenze di questo tipo si sviluppano dall’interazione tra molti geni e condizioni ambientali e nascono da una tendenziosità nella scelta, in favore di individui con determinati tratti percepibili.
Questo sistema consiste nel rifiutare alcuni potenziali partners, accettandone o sollecitandone altri e, nella maggior parte delle specie, funziona senza consapevolezza e senza processi decisionali complessi.
Nonostante il costo in termini di tempo ed energia che la scelta del partner comporta, la selezione sessuale si è evoluta come eugenetica, una sorta di screening genetico, dal momento che un parter di “alta qualità” offre maggiori probabilità di ottenere una prole di altrettanta “alta qualità”.
La forma fondamentale di selezione sessuale è la scelta del partner tramite indicatori che rivelino età, stato di salute, stato nutrizionale, taglia, forza, stato sociale, dominanza e resistenza alle malattie.
Praticamente, qualsiasi tratto corporeo o comportamentale può funzionare come indicatore che riveli sia i tratti genetici ereditabili, che passeranno alla prole, sia la possibilità che il partner sopravviva e si prenda cura della prole stessa.
Le due classi principali di selezione sessuale sono:
- selezione per indicatori genetici (chiamata anche selezione per i “buoni geni”);
- selezione per indicatori estetici (chiamata anche selezione per il “figlio bello”).
Altre qualità favorite sono:
* abilità parentali e risorse (Clutton–Brock, 1991; Hoelzer, 1989; Price et al., 1993),
* fertilità (Baker e Bellis, 1995; Singh, 1993),
* distanza genetica ottimale (Thornhill, 1991, 1993).
Nella biologia evolutiva questi differenti criteri di selezione sono spesso considerati modelli concorrenti, ma non esistendo sufficienti evidenze per nessuno in particolare, potrebbero essere forze selettive complementari.
2.2 LA SELEZIONE SESSUALE A CASCATA: IL MODELLO DI FISHER
I tratti costituiti da indicatori estetici giocano sugli errori di percezione dei riceventi, per aumentarne la disponibilità all’accoppiamento. Questi errori possono sorgere in due modi, non necessariamente escludentesi a vicenda: possono già esistere come preferenze latenti per particolari ornamenti, anche se non si sono ancora evoluti nella specie, oppure possono evolversi secondo il modello di Fisher.
Questo autore fu uno dei primi biologi che presero sul serio l’idea di selezione sessuale, considerando le preferenze sessuali come legittimi tratti biologici soggetti a variazioni ereditabili; postulò un processo chiamato “selezione sessuale a cascata” (runaway sexual selection), in cui viene stabilito un circolo a feedback positivo, che porta alla coevoluzione delle preferenze femminili per alcuni tratti maschili e i tratti maschili stessi.
Nonostante questo modello appaia circolare nelle sue argomentazioni, come del resto accade a qualunque sistema a feedback positivo, esso è stato confermato da recenti lavori (Andersson, 1994) nelle sue tre assunzioni di base:
- gli individui con ornamenti sessuali più appariscenti, mantenendo le altre caratteristiche costanti, hanno un maggior successo nell’accoppiamento, ma una sopravvivenza minore rispetto a quelli con ornamenti meno appariscenti;
- i tratti e le preferenze mostrano una variazione genetica ereditabile;
- esiste un collegamento genetico tra tratti e preferenze. (Bakker, 1993; Houde e Endler, 1990).
Secondo Fisher, il maschio che si mette in mostra non è migliore di quello che non lo fa; l’unico vantaggio tratto dai maschi che si esibiscono è che le femmine li considerano più attraenti.
Dato che i maschi trasmetteranno i caratteri esibiti alla loro discendenza, anche la prole li esibirà, risultando a sua volta più attraente per le femmine, che avranno ereditato dalle madri la tendenza ad essere attratte da queste esibizioni costose.
Il processo inizia da scelte per caratteri effettivamente correlati a qualità generali, ma si tramuta poi in un circolo vizioso, in cui qualsiasi carattere può essere considerato attraente e diffondersi nella specie.
Nonostante questo modello possa spiegare l’evoluzione dei tratti maschili esagerati presenti in molte specie, alcuni interrogativi rimangono senza risposta:
- la connessione logica tra segnale e messaggio;
- il motivo per cui i caratteri che attraggono le femmine sono gli stessi che dissuadono i rivali maschi, nonostante lo spreco di energie necessario a questo tipo di segnali diminuisca, in realtà, il valore effettivo del maschio;
- l’origine evolutiva delle preferenze femminili e i modelli genetici sottostanti.
2.3 IL PRINCIPIO DELL’HANDICAP: IL MODELLO DI ZAHAVI
Possibili spiegazioni ad alcuni di questi interrogativi possono essere trovate all’interno della teoria di Zahavi.
Secondo questo autore, la qualità degli ornamenti correla con qualche utile qualità fisiologica dell’individuo che li possiede; questo incentiva da un lato la scelta di quel particolare ornamento e dall’altro la sua esposizione ai livelli più alti possibili.

Classici esempi di indicatori di questo tipo possono includere colore e condizione del piumaggio, sonorità e complessità del canto degli uccelli, taglia e simmetria.
Qualunque parte del corpo e comportamento può servire come indicatore, ma condizione essenziale perché sia valido è che deve essere costoso da produrre e da mantenere, in modo da non essere contraffatto facilmente, e che si possa presentare in diversi livelli di grandezza e non soltanto come presente o assente.
Secondo l’autore, dunque, per poter funzionare i segnali devono essere attendibili, e per essere attendibili devono essere costosi.
Un esempio di segnale costoso noto a tutti è quello del pavone: per poter dare spettacolo della sua enorme coda ornata da occhi verdi e blu, deve infatti portarsi dietro un fardello ingombrante e pesante. Il fatto che un pavone sia in grado, nonostante la sua coda, di trovare cibo ed evitare i predatori, dimostra che si tratta di un individuo di alta qualità, e quindi appetibile per le femmine.
L’investimento degli animali nei segnali è simile alle penalità, tecnicamente dette handicap, che vengono imposte al più forte dei contendenti in un gioco o in uno sport: la rimozione della regina al giocatore migliore in una partita a scacchi, l’aggiunta di pesi al cavallo più veloce in una corsa, etc. La vittoria nonostante le penalità imposte prova, senza dubbio, la superiorità del vincitore.
I segnali devono quindi essere considerati handicaps in questo senso specifico: permettono ad un particolare individuo di mostrare le proprie abilità e sono strettamente correlati al messaggio che inviano.
Se un dato segnale richiede a chi lo emette un investimento maggiore di quanto non guadagnerebbe trasmettendo un’informazione falsa, allora fingere non risulta redditizio e il segnale è quindi attendibile.
Gli indicatori evolvono più facilmente quando sono “condizione-dipendenti”, cioè quando l’animale più in salute possiede indicatori migliori o “rivelatori”, cioè quando l’animale più in salute fa miglior uso degli indicatori che possiede.
Nonostante l’iniziale scetticismo nei confronti di questa teoria, alcune simulazioni al computer (Andersson, 1986) e alcuni modelli matematici hanno mostrato come questi indicatori possano evolversi anche in specie perfettamente monogame e siano sufficienti, anche in assenza del processo a cascata, per l’evoluzione di stravaganti ornamenti maschili e corrispondenti preferenze femminili.
Dunque questi meccanismi, che nascono come adattamenti in senso proprio o come effetti secondari di altri adattamenti, una volta attivati, possono influenzare l’evoluzione degli ornamenti sessuali e dei comportamenti di corteggiamento.
Se i tratti selezionati correlano con una generale vitalità, come nel caso dell’handicap, e se la variazione genetica nella vitalità è mantenuta in qualche modo, ad esempio tramite mutazioni o coevoluzioni, il principio di Zahavi lavorerà sia sui tratti che sulle preferenze (Iwasa et al., 1991).
Se invece il tratto selezionato è puramente ornamentale e non correla con la vitalità generale, i tratti maschili e le preferenze femminili coevolverenno secondo il modello di Fisher verso versioni più estreme, che accresceranno il successo riproduttivo maschile finché il beneficio dell’accoppiamento sarà bilanciato da una pressione selettiva naturale in direzione opposta, o finché la varianza genetica dell’uno o dell’altro sarà esaurita (Pomiankowsky et al., 1991).
Spesso, però, i due processi si rinforzano a vicenda ed alcuni tratti vengono elaborati sia come indicatori di vitalità, che aumentano le possibilità di sopravvivenza della prole, sia come ornamenti estetici, che accrescono l’attrattiva della prole.
2.4 ESEMPI DI FEROMONI COME HANDICAP: IL PRINCIPIO DI ZAHAVI NELLE FARFALLE E NELLE API
Zahavi, all’interno della sua teoria, considera i feromoni di alcune specie come veri e propri handicaps chimici e cerca di individuare il significato adattivo e il tipo di informazione che queste sostanze chimiche forniscono riguardo ai loro produttori.

In questa logica anche i feromoni, per poter trasmettere messaggi attendibili, devono sottostare alle tre condizioni necessarie agli altri tipi di segnale:
- devono essere costosi per l’individuo che li emette,
- il costo deve essere più gravoso per un individuo disonesto che per uno onesto,
- ci deve essere una relazione logica tra il costo specifico del segnale ed il messaggio trasmesso dal segnale stesso, cioè la reale qualità dell’individuo che lo secerne.
I feromoni delle farfalle e delle falene contengono, infatti, sostanze velenose, provenienti dalle piante e usate come alimento o come difesa contro i predatori, che si accumulano nell’organismo, segnalando così la capacità dell’individuo di sopportare la sostanza stessa e di utilizzarla.
Queste sostanze si sono dunque evolute per competizione tra i membri di un gruppo, allo scopo di mostrare la superiorità di un individuo sugli altri.
Il feromone deve essere una sostanza che può nuocere alle femmine di farfalla, se viene prodotta in quantità eccessiva; la capacità di produrlo, quindi, deve essere in relazione con determinate qualità della femmina, che risultano interessanti per il maschio (ad es. fertilità, riserva di grasso, capacità riproduttiva), rivelando quindi una relazione tra la quantità del prodotto secreto e la qualità delle femmine.
Allo stesso modo, secondo l’autore, in una grossa colonia di api l’abilità di un’operaia è misurata e resa visibile dalla sua capacità di trasportare i feromoni della regina, dal momento che si tratta di una sostanza chimica dannosa, che inibisce lo sviluppo delle ovaie.
L’handicap del feromone della regina deriva dal fatto che la sua capacità di produrre feromoni è correlata alla sua capacità di deporre uova.
Le operaie fisicamente superiori, capaci di sviluppare le proprie ovaie nonostante l’alta concentrazione di feromone alla quale sono esposte, ottengono una posizione elevata di prestigio sociale. Infatti la quantità di feromone della regina, portato da un individuo, sembra indicare la sua capacità di contrastarne gli effetti dannosi.
Segue in “Parte seconda. Capitolo 3: Feromoni e sistema immunitario”
Il presente articolo è riproducibile, in parte o in toto, esclusivamente citando autore e fonte
(Silvia Noris – www.silvianoris.it)