Habitus neoliberista

Ripropongo un vecchio articolo sul concetto di habitus neoliberista, rivisitato in forma più sintetica. La versione originale si trova anche qui.

Habitus neoliberista

Il concetto di neoliberismo

Quando si parla di neoliberismo generalmente si ha in mente la sua definizione economica: sinteticamente, elogio del libero mercato contro l’intervento dello Stato. Più recentemente, il termine è comunemente associato al processo di finanziarizzazione dell’economia e di estrazione di valore dall’individuo stesso, cui vengono applicate logiche imprenditoriali di sfruttamento. Questa prospettiva, che vede il neoliberismo come forma di governo capillarmente diffusa in qualsiasi ambito della vita, pone sì l’accento sulla relazione sistema→soggetto (raramente il contrario), ma non chiarisce l’influenza del neoliberismo come razionalità politica nella relazione soggetto→soggetto.

Il concetto di Habitus

Prendiamo in prestito il concetto socio-antropologico di habitus, che indica l’insieme di pratiche sociali condivise dai membri della società; convenzioni strutturanti e generatori comportamentali, che funzionano come schemi impliciti ed automatici di azioni a guidare le interazioni sociali, e che Stanghellini, psichiatra fenomenologo, ha definito “prototipo di relazione Sè-con-l’Altro” (Stanghellini, G., 2017. Noi siamo un dialogo. Antropologia, psicopatologia, cura. Milano: Raffaello Cortina Editore). Quale habitus di relazione con l’altro è tipico e funzionale al mantenimento dell’equilibrio sociale nell’epoca dominata dalla visione neoliberista, che spazia incontrastata in tutti i campi dell’umano?

L’altro nella globalizzazione

Il filosofo Han sostiene che “il tempo in cui c’era l’Altro è passato” (Han, B., 2017. L’espulsione dell’Altro. Milano: Nottetempo), non ve n’è più traccia nell’epoca della ipermodernità, dell’iperconsumo e dell’ipercomunicazione; l’assenza di una controparte dialettica produce una massa informe. “Oggi la vicinanza dell’Altro cede il posto all’assenza di distanza dell’Uguale. La comunicazione globale ammette solo Altri uguali o Uguali altri. Nella vicinanza è inscritta la lontananza quale controparte dialettica. L’abolizione della lontananza non genera maggiore vicinanza, bensì la distrugge. Al posto della vicinanza sorge una totale assenza di distanza” (ibid.).

La globalizzazione consente, pena l’espulsione dal sistema, solo alterità che possono essere espresse in forme commerciali e consumate rapidamente, mentre l’Altro si sottrae alla valorizzazione economica e alla logica del profitto. L’Altro è un mistero, un enigma, che si sottrae allo sfruttamento; la (sua) conoscenza è un processo, che ha la temporalità della maturazione, della trasformazione. La politica neoliberista non consente il tempo dell’altro, perché è un tempo improduttivo. Ma il tempo dell’Altro è anche essenziale alla costruzione del sé. Cosa succede dunque, se alla dimensione temporale fatta di passato, presente e futuro se ne sostituisce una fatta di presenti puntuali, considerando che la temporalità è parte integrante dell’identità umana?

Habitus psicopatologici

Citando Han, possiamo ipotizzare due habitus patologicamente preponderanti ai giorni nostri. Quello del narcisista: “La negatività dell’Altro conferisce al Medesimo forma e misura. In sua assenza si arriva alla proliferazione dell’Uguale. […] Il narcisismo invece è cieco di fronte all’altro. L’altro così viene lungamente piegato finché l’ego non vi si riconosca: il soggetto narcisistico percepisce il mondo soltanto nelle sfumatura di se stesso. Conseguenza fatale: l’Altro scompare, il confine fra il sé e l’Altro svanisce, il sé fonde e diventa diffuso. L’io annega nel sé. Un sé stabile nasce invece solo nel confronto con l’Altro, mentre l’eccessivo e narcisistico riferimento a sé genera un sentimento di vuoto” (ibid.).

E quello del depresso: “Secondo Alain Ehrenberg, il diffondersi della depressione è una conseguenza del perduto rapporto con il conflitto. L’attuale cultura della prestazione e dell’ottimizzazione non ammette alcuna gestione del conflitto, perché essa richiede molto tempo. L’attuale soggetto di prestazione conosce soltanto due condizioni: funzionare o rinunciare” (ibid.).

Verso il mistero

Il conflitto, lontano dalla distruttività della guerra quanto dall’immobilismo della pace, è dunque essenziale nella costruzione identitaria e nel mantenimento di uno stato di salute.

Tutti i passaggi trasformativi della vita, dal rito di passaggio alla morte, passando per la psicoterapia, si caratterizzano per un movimento verso l’ignoto, un andare incontro al mistero. “Lo stesso mistero non è semplicemente un significato velato e nascosto che occorrerebbe svelare, bensì un’eccedenza di significati che non può risolversi nel significato: il mistero non è svelabile perché, si potrebbe anche dire, esso è il velo stesso” (ibid.).

Il presente articolo è riproducibile, in parte o in toto, esclusivamente citando autore e fonte

(Silvia Noris – www-silvianoris.it)

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