Geopillole Faganiane #3

verso un mondo multipolarePremessa: era il 2017 quando presi nota, nella mia lista «libri da leggere», di Verso un mondo multipolare. Il gioco di tutti i giochi nell’era Trump di Pierluigi Fagan (Fazi Editore, Roma 2017). Lo nominò, se non commetto possibilissimi errori di memoria, l’ex ambasciatore italiano in Cina Alberto Bradanini, intervistato dal compiano Giulietto Chiesa su Pandora TV. Lo confesso, la lista era lunga e la marmellata cognitiva degli anni covid era densa, ho letto questo libro interessante solo a inizio 2023. Ho fatto male, e questo è il mio modo di rimediare: riassumere una parte del testo in brevi geopillole. Non aggiungerò niente di mio, né dirò se sono d’accordo oppure no; sottolineo però, per contestualizzarlo meglio, che il libro è del 2017, quindi di molto precedente al 24 febbraio 2022 ma già successivo al 18 febbraio 2014.

GEOPILLOLA N°5

Gli USA dipendono dal controllo sul mondo. Sono il 4,4% della popolazione e producono il 24% del PIL. Questo per una serie di elementi: originariamente la poca gente, culturalmente omogenea (lingua, etnia, religione) in tanto spazio ricco di risorse, ha garantito una crescita assicurata. L’incremento demografico va di pari passo con quello economico (e poi militare). Una grande massa anche socialmente omogenea, senza aristocrazia storica, di potenziali consumatori. Inoltre, essendo tra due oceani, non ci sono vicini; con la dottrina Monroe del 1823, hanno stabilito che lo spazio vitale si estendeva a tutto il nord del continente, oltre i confini nazionali. In seguito è stato esteso a tutto il continente e agli oceani (con il sostegno all’autonomia di Panama dalla Colombia, in cambio del controllo dello stretto). Questo li ha resi inattaccabili.

A conti fatti, gli USA sono l’unico vero vincitore dei conflitti mondiali, da cui hanno guadagnato la NATO e il controllo sull’Europa occidentale. Con la Carta Atlantica del 1941 hanno esteso la loro egemonia al Commonwealth britannico, rinforzando poi la posizione nel Pacifico (Taiwan; Giappone, Corea del Sud e Filippine) con accordi specifici. In seguito, una serie di conflitti: Corea, Guatemala, Vietnam, Afghanistan, Nicaragua, Panama, Kosovo, Iraq, Somalia, Libia, Siria; oltre al sostegno a numerosi colpi di Stato, soprattutto in Sudamerica. Tutte applicazione pratiche della potenza; 4,4% della popolazione mondiale, 36% della spesa mondiale in armi.

Da questo insieme di elementi si generano l’irraggiamento culturale che raggiunge gran parte del pianeta e anche le principali teorie geopolitiche, compreso il senso di avere una missione di civilizzazione e di essere un popolo eccezionale. Chiara è la consapevolezza di essere una potenza di mare, in contrapposizione con quelle di terra, con una priorità strategica di separare l’Europa occidentale, e in particolare la Germania dalla Russia. La paura di essere marginalizzati in caso di saldatura eurasiatica è condivisa dalle altre potenze di mare (es. la Gran Bretagna; il  Giappone teme anche l’invasione).

La scuola americana si divide anch’essa in idealista (Wilson) e realista (Morgenthau, Waltz) ma su questioni metodologiche. I primi (es. Kagan) sostengono che imporre la propria forma di governo (libero mercato e democrazia rappresentativa) su scala globale porti al dominio totale; la teoria è sposata dai neoconservatives, originariamente repubblicani ma in seguito anche neoliberals democratici, e si è concretizzata dal bipartisan Center for a New American Security fondato nel 2007. Nel 2016 il rapporto propone un’aperta espansione imperialista. I secondi (es. Brzezinski e Kissinger) puntano su un’egemonia benevola attraverso un forte atlantismo, la saldatura sistemica tra americani ed europei.

Rispetto alla Clinton, Trump è più orientato verso una prospettiva realista. Gli studiosi influenzano le amministrazioni e le loro scelte in termini di politica estera e strategia, e spesso sono portavoce di interessi economici particolari, con un rapido scambio tra ruoli di conferenzieri o consulenti (privati strategici o pubblici). Le idee sono legate agli interessi e alle decisioni politiche, in un grande circuito sistemico. I repubblicani sono più orientati verso gli interessi, e quindi verso lo sviluppo, dell’hard power (industria militare), mentre i democratici del soft power (hi-tech e digitale). La Clinton sembra una convergenza di entrambi. Trump sembra aver intercettato la vocazione dell’americano medio verso la semplificazione e l’isolazionismo, fino ad arrivare a sentimenti nazionalistici e protezionistici.

Il potere americano si basa sul grande mercato interno e sulla sua proiezione esterna (fatta da un mix di dominio militare, accordi commerciali vantaggiosi e istituzioni che rendono i primi due “giusti”). Inoltre la loro moneta viene usata come moneta di riferimento internazionale per gli scambi, come riserva di valore e come moneta di istituzioni o di altri paesi (tutto questo è detto “il privilegio del dollaro”); infine vantano la sede finanziaria più importante, Wall Street. Tutto l’impianto finanziario, compresi FMI e WB, sono a guida USA e i prestiti sono erogati solo se funzionali al sistema americano.

Il numero di basi militari americane fuori dai confini si stima tra 600 e oltre 1000, il numero di paesi ospitanti tra 60 e 150. Gli USA possiedono 8000 testate nucleari e una vasta rete satellitare; oltre agli “alleati” NATO hanno più di 15 alleati non NATO e accordi bilaterali con altri paesi. La Marina è una parte importante della potenza militare ed è la più imponente al mondo; anche l’intelligence (insieme agli alleati storici, i Five Eyes) gioca un ruolo decisivo nel controllo sul mondo.

Per quanto riguarda il soft power, che consiste nel far sì che la volontà dell’altro coincida con la propria, esso lavora attraverso il marketing, l’uso della lingua inglese, il mondo accademico-intellettuale e scientifico, la tecnologia, internet e i social, le ONG, lo sport e la musica, Hollywood, ecc. In particolare Internet ha la facoltà di profilare l’umanità e ridurre il linguaggio e il pensiero a un livello emotivo e semplificato. Tutto questo plasma un modello antropologico di essere umano e di sistema valoriale. Gli USA dominano anche l’ideologia economica (neoliberista), attraverso cui la ricchezza mondiale vien drenata verso di loro. Tutti i ricchi del mondo finanziano il sistema americano, che li domina, in cambio di poche briciole.

Il sistema politico è formalmente una democrazia liberale, bipartitica, ma sostanzialmente è più simile a una oligarchia. Le campagne elettorali sono finanziate da lobby che promuovono interessi (anche di Israele e Arabia Saudita) e che quindi  influenzano la politica estera, di cui il cittadino medio non comprende nulla. L’interesse americano può essere sintetizzato come il mantenimento e rafforzamento dell’asimmetria iniziale (poca gente in un vasto territorio ricco, al sicuro tra due oceani) che si basa sul dominio di grandi aree del mondo. L’imperialismo dei diritti umani è sentito, dai cittadini, come una missione divina, espressione dell’eccezionalità di un popolo; il sistema è introiettato con una certo grado di sacralità. La polarizzazione è solo di metodo.

Per quanto riguarda il sistema occidentale allargato, siamo passati dagli anni ’70 con un 75% del Pil mondiale (di cui 1/3 USA) a oggi con un 52% (di cui 1/2 USA); la contrazione è tutta euro-giapponese, mentre gli USA si sono mantenuti in salute. L’Europa è un insieme eterogeneo e ingestibile, il Giappone è un sistema chiuso; la contrazione non sembra risolvibile. I punti di debolezza americana sono il declino produttivo, infrastrutturale, educativo e le forti diseguaglianze; inoltre il dollaro è insediato da altre valute e il debito pubblico  è strutturalmente dipendente dall’esterno.

Per questo, gli esperti americani spingono sulla superiorità del modello libero mercato + democrazia liberale, dato che il modello cinese sembra essere efficace e appetibile per alcune aree del mondo. La riconfigurazione sistemica con una relativizzazione del potere americano sembra inevitabile, soprattutto nell’area del Sudest asiatico dove la Cina può giocare il ruolo della potenza regionale. La Cina può offrire soldi e sviluppo, gli USA sicurezza (dopo aver contribuito all’instabilità). L’inevitabile contrazione americana entra in collisione con la natura espansiva della storia del loro popolo: la mentalità diffusa di tipo individualista su cui si fonda e di cui si nutre il sistema imperialistico non contempla il sacrificio del singolo per la collettività e alla lunga impone una riorganizzazione. L’intera struttura spinge verso l’espansione e la sovrastruttura ideologica serve per sostenerla, a costo di dipingere una realtà solo immaginaria.

Gli USA sono, a differenza del blocco Cina-Russia-Europa, un sistema unitario e integrato: uno Stato unico (dal punto di vista politico, economico, militare, culturale, religioso), con solo due secoli di storia, che gioca sempre in attacco. Diversamente, un ipotetico sistema eurasiatico si baserebbe sulla reciprocità degli interessi e sull’equilibrio di potenza, e questo è un tipo di sistema difficilmente comprensibile dalla logica geopolitica occidentale.

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